Elzeviro di Luca Goldoni. Era una vecchia Punto GT, prima serie, ma l’anziano veterinario la teneva come un cimelio: tutto secondo manuale, livelli dell’olio, batteria, persino il serbatoietto per gli spruzzi del tergicristallo.
Si gloriava: è una Punto del ’93 (proprio come nei thriller americani dove tutti, anche le casalinghe, danno informazioni alla polizia; uno col cranio rasato su una Mustang dell’85; una brunetta su una Chevrolet del ’78; una meticcia su una Ford dell’81. Mentre da noi solo il proprietario si ricorda sì e no l’anno d’acquisto). Era una Punto blu carta da zucchero. Strano mondo quello dell’automobile: la tecnologia galoppa, il lessico no: si dice carta da zucchero anche se questa carta da decenni non si usa più, si dice «ho messo la freccia» anche se le frecce sono sparite nel dopoguerra, si dice «è aggressivo, parte subito in quarta» (ma provate a partire in quarta e vi si spegne il motore). Ben presto il problema del veterinario in pensione divenne il parcheggio: nei primi anni sotto casa, poi con il moltiplicarsi delle macchine stentava a trovare uno spazio nella strada. Era tutto un passo carraio: alcuni legittimi, altri platealmente fasulli, bastava comprare la targhetta dal cartolaio per proteggere un portoncino da cui passava sì e no una Vespa. (Mancava il timbro del Comune, è vero, si poteva fare un esposto. Ma si può passar la vita a denunciare?) Il vero trauma, il pensionato lo avvertì quando fu costretto a parcheggiare in una strada distante da casa. Finché la macchina era nei paraggi, gli sembrava più protetta e dormiva tranquillo, quasi che i ladri riconoscessero un’auto lontana dal proprietario. Un’ansia irrazionale, lo ammetteva, ma la vita è fatta anche di suggestioni.
Un mattino il vecchio salì a bordo e manovrò per andare in centro, ma intravide nel retrovisore un automobilista in agguato per rubargli il posto. Allora in retromarcia tornò dov’era e da quel momento difese il suo feudo non muovendosi più. L’amico elettrauto, considerato il caso patetico, si recava sul posto con tutti gli attrezzi ed eseguiva la riparazione in loco. E il gommista gli sostituì gli pneumatici anteriori, ormai lisci, piazzando il cric fra strada e marciapiede. Intanto il veterinario si era abituato a muoversi in bicicletta, in autobus, eccezionalmente in taxi. Il figlio, che sapeva del suo patema logistico, un’estate lo accompagnò a Bellaria con la propria auto. Al ritorno il vecchio andò a controllare: la Punto c’era ma lurida, e sul cofano avevano scritto: lavami. Così un mattino all’alba raggiunse l’auto con un secchio e una spugna, ma riuscì solo a impiastricciarla di più.
Un giorno si presentò un cronista della «Gazzetta», che poi pubblicò un articolo, «Vita e miracoli dell’auto-immobile»: prima della pensione, il veterinario aveva fatto nascere 103 vitellini, 24 puledri, un Sanbernardo, un cucciolo di tigre del Circo Togni di passaggio (l’avete addormentata bene, chiedeva di continuo). E quella notte in cui, per raggiungere una stalla in collina, la Punto s’era impantanata e la tirarono fuori con i buoi perché il contadino poveraccio non possedeva uno straccio di trattore. Veterinario e auto-immobile divennero presto popolari. Per esempio gli autisti del lavaggio strade non solo non chiamavano il veicolo della rimozione, ma sfiorando la Punto alzavano il getto dandole una bella innaffiata. E il giorno in cui il nostro dovette portare l’auto alla revisione, il sindaco distaccò un vigile per custodire lo spazio vuoto. «Patrimonio dell’umanità», sorrideva il vecchio. Ma un brutto mattino scoprì, con un tuffo al cuore, che il suo cimelio era sparito. Si attaccò al telefono, carabinieri, polizia, vigili urbani. Verdetto unanime: rubata. Il nostro non si dava pace: le altre macchine parcheggiate valevano almeno dieci volte la sua. I ladri d’auto conoscono le quotazioni di «Quattroruote», e il valore della Punto era ciò che negli spot viene definito «un usato che vale zero». Pian piano affiorò l’ipotesi: furto su commissione. Un noto collezionista, di cui aveva parlato la «Gazzetta», aveva forse adocchiato quella GT prima serie, 136 Cv, specchietti riscaldabili, e dopo averla restaurata l’avrebbe poi esposta fra modelli simili alle mitiche MG di Breve incontro, Lancia spider del Sorpasso, Alfa rossa del Laureato. E il derubato non sapeva più se essere depresso o felice.
Luca Goldoni – 20 settembre 2011 – corriere.it