«Misure gravi che medici e veterinari chiedono di modificare e che inducono FVM a mantenere lo stato di agitazione rimettendo all’intesa con le altre sigle la scelta di ulteriori modalità di protesta»
di Aldo Grasselli, presidente FVM. La quarta manovra, non sarà l’ultima, passerà oggi con il voto di fiducia al Senato, per l’urgenza di dare un segno di vita del governo ai mercati e alla BCE che potrebbero decidere di non sostenere ancora il debito italiano e di vendere i nostri titoli di stato deprezzandoli ancora.
La critica univoca alla manovra da parte dei sindacati confederali ne sottolinea l’iniquità e l’evidente stato confusionale dell’esecutivo che ha dilapidato ogni residua credibilità facendo avanti e indietro su ipotesi rivelatesi spesso inconsistenti, impraticabili o incostituzionali e che la Confindustria ha eufemisticamente definito “esotiche”.
Un aumento dell’Iva dal 20 al 21%, un contributo di solidarietà del 3% per redditi superiori ai 300 mila euro (e non 500mila come comunicato in un primo momento), l’adeguamento delle pensioni delle donne nel settore privato a partire dal 2014 sono le ultime aggiunte al testo sulla manovra che il governo ha deciso di blindare con il voto di fiducia.
Bisogna fare in fretta, una fretta che da tre anni viene rimandata per negare una crisi non solo prevedibile ma palesemente visibile.
Ad appena una settimana dal vertice di Arcore, la manovra cambia ancora e arriva alla sua quarta versione. Ma le ultime modifiche, frutto di un compromesso nella maggioranza, non soddisfano né le opposizioni né i sindacati. Valutazioni tiepide e cautamente positive, invece, dalla Confindustria.
Saltano le modifiche decise nel vertice di Arcore di lunedì scorso, quando Berlusconi aveva rivendicato il suo successo sull’eliminazione del contributo di solidarietà. Dura pochi giorni la vittoria della Lega che era riuscita ad evitare interventi sulle pensioni. Deve capitolare anche Giulio Tremonti che avrebbe rimandato l’aumento dell’Iva.
Ma alla fine ognuno porta a casa qualcosa: il premier appunto l’innalzamento dell’Iva, da sempre caldeggiato; Tremonti l’adeguamento delle regole di pensionamento delle donne del settore privato a quelle del pubblico impiego e il contributo di solidarietà, seppure rivisto rispetto alla versione originaria; la Lega l’accelerazione sulle riforme costituzionali. Che però non prevedono più il dimezzamento dei parlamentari. L’aumento dell’aliquota ordinaria dell’Iva dal 20 al 21% non è temporaneo, non è stata fissata una scadenza (si era parlato di 3 mesi). Invece, per le altre aliquote Iva (rispettivamente al 10 e al 4%), secondo quanto riferiscono fonti di governo, resta in piedi l’ipotesi di innalzarle entrambe di un punto percentuale.
Quanto al super prelievo, è stato il ministro La Russa, al temine del Cdm, a comunicare che il governo «ha deciso di ridurre da 500 a 300 mila euro il reddito oltre il quale si pagherà il contributo di solidarietà». La proposta di abbassare il tetto, rispetto ai 500 mila di cui parlava la prima nota di Palazzo Chigi, è stata avanzata dal premier. I contribuenti oltre i 300 mila euro risultano in tutto 34.000, 22.500 dei quali nella fascia di reddito tra 300 e 500 mila euro e 11.500 sopra i 500 mila euro.
Ritocco anche per la norma sul carcere per chi evade più di tre milioni di euro. Non solo l’evasione deve ammontare a questa cifra, per far scattare subito le manette, ma deve corrispondere, secondo quanto si apprende, anche al 30% del fatturato. La misura potrebbe entrare nel nuovo pacchetto (il maxi-emendamento alla manovra) atteso in Senato.
In sintesi: se un bidello ruba la carta igienica va in galera, se un imprenditore ruba al fisco i soldi coi quali lo Stato compra diecimila volte quella carta igienica, forse va in tv a “chi l’ha visto”. È faticoso correggere tre anni di politiche sbagliate, tre anni in cui il governo ha negato la crisi, ha blandito e condonato gli evasori, ha tagliato l’istruzione e la ricerca, ha tagliato le radici stesse della crescita del Paese.
Tre anni di danni aggravati dalla scelta di dividere tutti i soggetti sociali, giovani e anziani, nativi e migranti, uomini e donne e anche le rappresentanze sociali e sindacali. Ecco perché nella manovra compare l’articolo 8, che distrugge l’autonomia delle parti, annulla il contratto collettivo nazionale di lavoro e cancella lo Statuto dei lavoratori, non solo l’articolo 18, e che niente ha a che fare con il riequilibrio dei conti pubblici.
Il ministro del Lavoro Sacconi, dopo la clamorosa bocciatura del suo testo sulle pensioni che prevedeva il furto degli anni riscattati, vuole portarsi a casa almeno la bandiera della divisione sindacale: il suo unico residuale obiettivo.
Il difetto più clamoroso di questa manovra economica, oltre a essere ancora iniqua, socialmente ingiusta e depressiva dell’economia del Paese, è che non risolve nemmeno i problemi finanziari e prepara altre manovre in un inseguimento infinito e dannoso tra debito e mancato sviluppo.
La difesa dei privilegi di pochi si scaricherà ancora sulle condizioni di vita di tutti, a cominciare dai più deboli che devono pagare nuovi ticket su visite e medicine. Tra tutte vi è poi una priorità generale: l’occupazione dei giovani. Le nuove generazioni, i nostri figli, dopo decenni di precariato non subiranno più una modifica del sistema pensionistico: semplicemente non l’avranno.
Per cambiare registro non si tratta soltanto di mettere le mani anche nelle tasche dei veri ricchi, in un momento di grave emergenza per il Paese. Non è soltanto una questione di tasse, di patrimoniale (la parola tabù), o di contributi di solidarietà, rimasto solo per i dipendenti pubblici.
Perché il contributo di solidarietà, o per meglio dire l’addizionale IRPEF sui redditi superiori a 90.000 e 150.000 euro annui, viene chiesto ai soli dipendenti pubblici in spregio di ogni principio di eguaglianza dei cittadini davanti al fisco, perché non si pagano le tasse in base all’entità del reddito ma alla natura del lavoro che lo ha prodotto?
Nessuno riesce a spiegare perché un provvedimento bollato come “folle” ed eliminato per i lavoratori privati ed autonomi diventi cosa buona e giusta se applicato ai dirigenti pubblici. Su di noi veterinari, medici e dirigenti sanitari dipendenti del SSN, evidentemente figli di un dio minore, si prevede anche:
? il prolungamento del blocco dei contratti di lavoro, nazionali ed aziendali, fino a 5 anni, con conseguente perdita di oltre il 20% del potere di acquisto degli stipendi;
? lo scippo per 2 anni del TFR che è salario differito, in gran parte autofinanziato;
? la minaccia di una mobilità selvaggia e di una ulteriore precarizzazione degli incarichi di lavoro.
? la proroga della facoltà delle amministrazioni di pensionamento coatto, a prescindere dalla età, con 40 anni di contributi comprensivi, per fortuna, dei periodi riscattati.
Misure gravi che medici, veterinari, dirigenti sanitari ed amministrativi chiedono di modificare sottoscrivendo l’appello online (www.cambiamolamanovra.it ) promosso dalle organizzazioni sindacali.
Misure che inducono FVM a mantenere lo stato di agitazione della categoria rimettendo all’intesa con le altre sigle la scelta di ulteriori modalità di protesta.
Ciò che dobbiamo contrastare è una intera visione politica, che punta a comprimere i diritti, ad eliminare i controlli e le regole (si pensi alla demolizione del reato di falso in bilancio), per lasciare campo libero all’ iniziativa individuale. Termine che in italiano a volte si traduce in furberie, affarismo, molto spesso evasione (140 miliardi l’anno), sovente anche corruzione (60 miliardi, dice Banca d’Italia).
Il risultato è drammatico: l’errore di analisi oggi esplode di fronte alla crisi più grave di tutti i tempi. Se complessivamente paghiamo poche tasse, come se fossimo un paese di poveracci, avremo diritti sempre più simbolici e stipendi, servizi, pensioni da paese in via di sviluppo.
All’Italia mancano: un welfare moderno, servizi più efficienti, infrastrutture più avanzate. Per farle occorre la disponibilità di ricchezza pubblica, sinché i governi preferiscono proteggere quella privata accumulata con l’evasione fiscale avremo recessione e sacrifici tampone sulle spalle del “bancomat” pubblico impiego.
Ma, come sappiamo, anche la vacca più mansueta si può mungere sino a un certo punto!