Un medico e un cardiologo del pronto soccorso vengono prosciolti dall’accusa di omicidio colposo, per la difficoltà della diagnosi accresciuta dall’urgenza.
Infatti, la Cassazione, con la sentenza n. 16328/11, ha ribadito che «la colpa è uguale per tutti» ma bisogna distinguere i casi nei quali i sanitari sono «malaccorti» dai casi in cui «vi è una particolare difficoltà della diagnosi, sovente accresciuta dall’urgenza».
Il caso
Un autista, colto da malore sul lavoro, arriva al pronto soccorso in coma da sospetta lesione ischemica cerebrale. Il medico e il cardiologo che lo visitano, dopo aver eseguito elettrocardiogramma e ecocolordoppler e quindi escluso patologie cardiache, decidono di trasferirlo in un altro ospedale attrezzato per le patologie neurologiche. Il mattino seguente il paziente muore per arresto cardiocircolatorio causato dalla rottura dell’aorta. I medici vengono accusati di aver causato l’evento per non aver eseguito una corretta valutazione clinica del paziente.
In sede di merito, però, viene sottolineato che, nell’ambito della causalità omissiva, l’imputazione dell’evento può aver luogo qualora l’azione doverosa avrebbe potuto impedire l’evento con un apprezzabile grado di probabilità. Nel caso, la dissezione dell’aorta aveva una prognosi fortemente infausta e gli imputati avevano correttamente eseguito gli esami del caso in un quadro clinico di riconosciuta complessità. Per tali ragioni, il Tribunale di Rossano emetteva sentenza di non luogo a procedere (ex art. 425 c.p.p.) ravvisando l’immunità da colpa degli imputati.
La Cassazione ricorda un lontano orientamento che affermava la configurazione della responsabilità penale solo nei casi di colpa grave che, nell’ambito della professione medica, si riscontra nell’errore inescusabile derivante dalla mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o dalla mancanza di prudenza o di diligenza. «La colpa è uguale per tutti» e la sua gravità ha rilievo solo ai fini della graduazione della pena. Infatti, in alcune pronunce precedenti, la Cassazione aveva rimarcato che la prudenza, la diligenza e la perizia devono essere particolarmente accentuate nell’operatore sanitario vista l’importanza dei beni affidati alla sua cura (la vita e la salute).
La situazione di urgenza è rilevante ai fini della decisione finale. La Suprema Corte, considerate le difficoltà del caso e i tempi stretti per arrivare alla diagnosi ha confermato l’archiviazione. I giudici di legittimità hanno rilevato, sotto il profilo eziologico, che la grave patologia del paziente avendo prognosi infausta non avrebbe potuto essere trattata con successo nelle strutture locali; perciò il ricorso, presentato da un parente della vittima, viene rigettato con la conseguente condanna al pagamento delle spese.
Lastampa.it – 2 settembre 2011