Nuova vittoria “di classe” per i medici ex specializzandi del periodo 1983-1991. La Terza sezione della Corte di Cassazione con la sentenza 17350/11 depositata il 18 agosto, ha rimesso nei termini 800 (oggi affermati) professionisti, riconoscendo loro il diritto al pagamento degli anni di borse di studio anteriori al 1991.
Il quantum sarà determinato dalla Corte d’appello, ma complessivamente ai medici assistiti dall’Associazione Consulcesi Health andranno non meno di 100 milioni di euro.
I giudici di ultima istanza, del tutto in linea con le decisioni più recenti (si veda Il Sole 24 Ore del 18 maggio scorso), hanno ribadito che la prescrizione per questo tipo di rapporti è decennale, e che decorre dal definitivo recepimento delle direttive comunitarie (per l’Italia, dal 27 ottobre 1999) per troppo tempo invece – oltre 20 anni – ignorate dal legislatore nazionale.
La sentenza 17350, oltre a rimettere ordine cronologico e logico alle direttive Ue, alle sentenze della Corte continentale e della Cassazione stessa, in aggiunta agli interventi legislativi nazionali, risolve una serie di zone d’ombra che ancora gravavano sui diritti degli ex specializzandi. In particolare, i giudici della Terza hanno statuito che in caso di una direttiva comunitaria «chiara» ma non self-executing (e che quindi necessita di una legge di recepimento), l’inerzia dello Stato fa sorgere il diritto al risarcimento, che è permanente e la cui prescrizione inizia a decorrere solo dal giorno in cui viene promulgata la legge “riparatoria”.
Non solo, se la legge “riparatoria” è «parziale sotto il profilo soggettivo» – nel senso che provvede solo per il futuro o solo per alcune categorie ma non per altre – il calcolo della prescrizione non parte per i soggetti esclusi «perché la residua condotta di inadempimento sul piano soggettivo continua a cagionare in modo permanente il danno e, quindi, a giustificare l’obbligo risarcitorio».
Secondo la Terza civile, il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva 82/76/Cee, riassuntiva delle direttive 75/362/Cee e 75/363/Cee, a beneficio dei medici che avevano seguito corsi di specializzazione dal 1° gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 «si prescrive nel termine di dieci anni, decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della Legge 370 del 1999».
La vicenda degli specializzandi si trascina da 29 anni. L’Italia infatti non ha mai dato «integrale applicazione» alle direttive degli anni ’70, che sarebbero dovute diventare parte del corpus legislativo al più tardi il 31 dicembre 1982 (articolo 16 della direttiva 82/76/Cee). La Corte di Giustizia il 7 luglio 1987 (sentenza della causa C-49-86) dichiarò la «inadempienza» di Roma, che non dispensava comunque l’Italia dal recepire al più presto le regole comunitarie. «Tale obbligo – scrivono i giudici di Cassazione – avrebbe potuto essere adempiuto integralmente soltanto se lo Stato Italiano, nell’introdurre una disciplina attuativa della direttiva e conforme ad essa, avesse disposto non solo per l’avvenire, cioè in relazione alle situazioni dei singoli riconducibili ad essa dopo la sua entrata in vigore, ma anche prevedendo la retroattività di detta disciplina».
Poco rileva che nel frattempo la direttiva 2005/36/Ce, dettando una nuova disciplina dei medici specializzati, ha previsto l’abrogazione a partire dal 20 ottobre 2007 delle direttive precedenti. Se è vero che «a quella data è cessato l’obbligo dello Stato Italiano di adempiere, sia pure tardivamente, le direttive 75/362/Cee, 75/363/Cee e 82/76/Cee», non è «immaginabile che l’ultima direttiva abbia inteso sacrificare i diritti risarcitori dei singoli ove già insorti e ancora esistenti, non è possibile ritenere che l’abrogazione li abbia fatti venire meno».