Noto per le sue posizioni riformiste in materia previdenziale il vicepresidente della Commissione lavoro della Camera: iniqua la differenza tra pensionati di oggi e di domani
«Il sistema previdenziale è stato molto migliorato con le riforma degli ultimi vent’anni. Ma sostenere oggi che la spesa abbia raggiunto un equilibrio è inesatto. E, soprattutto, è scorretto non riconoscere l’iniquità di fondo che pesa e divide le generazioni dei pensionati di oggi da quelle di domani». Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera, è noto per le sue posizione riformiste in materia previdenziale dentro il Pdl.
Onorevole, il governo sostiene che il sistema è in equilibrio nel medio-lungo termine.
A causa della crisi noi oggi abbiamo una spesa previdenziale oltre il 15% del Pil, picco che avremmo dovuto toccare nel 2035-40. Pensare a un riequilibrio implicherebbe sperare in una forte ripresa espansiva dell’economia, ipotesi tutta da dimostrare.
Le riforma fatte hanno stabilizzato la spesa.
Vero. Sono state fatte anche ultimamente riforme fondamentali. Ma segnalo che negli ultimi 20 anni sono andati in pensione circa 3,5 milioni di italiani che avevano poco più di 50 anni. Grazie all’alta attesa di vita a loro spettano circa 25 anni di pensione. Questo è un fatto, purtroppo, che pesa come un macigno sul sistema.
Lei se la prende con le pensioni di anzianità.
Rappresentano la stortura del sistema. Bisogna uscirne il prima possibile, cogliere l’occasione di questa crisi per farlo in tempi brevi, tre massimo cinque anni. Bisogna abbandonare il requisito degli anni di versamento e passare al solo requisito anagrafico che, con una gradualità stretta da qui al 2015, può tranquillamente essere fissato a quota 100 ovvero parametrato a 65 anni + 40 di versamenti o in analoghe combinazioni.
Quindi anche chi ha versato contributi per 40 anni dovrebbe andare in pensione come tutti gli altri?
Rientrerebbe nel sistema ordinario della anzianità comprensivo di un requisito anagrafico. Il pensionamento che prescinde dall’età è diventato la scorciatoia per la quiescenza. Sui giornali vedo le lettere che vengono pubblicate in questo periodo. Quelli che scrivono rivendicando il loro buon diritto di andare in pensione dopo 35 o 40 anni di lavoro anche se hanno solo 60 anni o ancora meno potrebbero capire quanto futuro rubano ai giovani sulla base di una semplice divisione tra gli anni di lavoro e quelli di godimento della pensione viste le attese demografiche. Si accorgerebbero che per ogni 1,5 anni di lavoro gliene viene garantito uno di pensione. Neanche nel paradiso terrestre era stato previsto un trattamento così vantaggioso. Tanto più che adesso si è risolta la questione dei lavori usuranti.
E le donne, anche loro senza anzianità?
La pensione di anzianità adesso è una prerogativa dei maschi. Quanto alla vecchiaia, in Europa è considerata una discriminazione quello che da noi viene difeso come un diritto. Mi pare che allineare i due sessi nel mercato del lavoro e nell’accesso al pensionamento sia un fatto di civiltà.
Onorevole le posizione della Lega sono un po’ lontane.
La Lega e non solo hanno una posizione conservatrice che trovo imbarazzante. Per uscire dall’impasse si potrebbe trovare una mediazione: basterebbe riprendere quanto nel 2004 era previsto nella legge Maroni, che non si limitava ad indicare lo scalone di 60 anni nel 2008, ma saliva fino a 62 anni per i dipendenti e a 63 per gli autonomi.
ilsole24ore.com – 25 agosto 2011