E’ illegittimo e possibile fonte di responsabilità amministrativa coprire posti di ertice direzionale degli enti locali mediante incarichi di lavoro autonomo.
Lo evidenzia, sia pure in modo non del tutto lineare e coerente, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, col parere 23 /12/2010, n. 1060, pubblicato in questi giorni. La sezione si è mossa a partire dalla richiesta di parere formulata da un comune privo di qualifiche dirigenziali, il quale si è rivolto alla magistratura contabile per verificare la possibilità di conferire la responsabilità del settore tecnico «ad un libero professionista, al d fuori della dotazione organica ai sensi dell’articolo 50, comma 10 del digs n. 267/2000 e previe espletamento della relativa sale rione», mediante un «contratte a tempo determinato di collaborazione esterna, secondo le modalità e i criteri stabiliti dall’aut 110 Tuel». Il parere non manca di sottolineare come la richiesta di parere confonda le ipotesi di conferimento degli incarichi dirigenziali, con quelle di collaborazione esterna e si dilunga anche in modo ingarbugliato sulla disciplina normativa stratificatasi nel corso degli anni in tema di conferimento di incarichi esterni. La conclusione è, tuttavia, chiara e lapidaria: l’applicazione della disciplina degli incarichi dirigenziali a professionalità esterne ha presupposti e regolamentazione diversa sia dagli incarichi di consulenza, sia dalle collaborazioni. Il parere ricorda anche che l’utilizzo di incarichi di collaborazione (quelli previsti dall’articolo 110, comma 6, del dlgs 267/2000) per lo svolgimento di attività proprie dei lavoratori subordinate, ai sensi dell’articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001 è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che stipula i relativi contratti. Alle medesime conclusioni era, comunque, possibile e più efficace giungere sulla base di ragionamenti ancora più semplici. E sufficiente osservare che l’assoluta impossibilità di preporre ai vertici delle strutture amministrative degli enti locali liberi professionisti mediante contratti di lavoro autonomo deriva dalla circostanza che il lavoro autonomo non costituisce il rapporto organico, ma solo il rapporto di servizio. In altre parole, un professionista incaricato con un contratto di lavoro autonomo può rendere all’amministrazione pubblica un’attività connessa alla propria professione, ponendo in essere nella sostanza un appalto di servizio. Trattandosi di rapporto di lavoro autonomo o para subordinato, non si crea alcun vincolo di subordinazione con l’ente pubblico: il professionista, dunque, agisce in totale autonomia e l’attività svolta viene imputata esclusivamente alla propria sfera giuridica e non a quella dell’amministrazione.
Questo rende appunto incompatibile la direzione delle strutture di vertice con contratti di lavoro autonomo. Il dirigente o – il responsabile di servizio di un ente locale odi qualsiasi pubblica amministrazione non agisce per sé, ma quale organo dell’ente. Il vertice direzionale, insomma, impersona l’ente, agisce immedesimandolo e, dunque, la sua attività viene imputata direttamente all’ente nel quale è incardinato. Tale incardinazione può avvenire solo ed esclusivamente con un contratto di lavoro subordinato, l’unico che, anche ai sensi dell’art. 28 della Costituzione, consenta di imputare pienamente all’amministrazione di appartenenza anche i danni eventualmente cagionati dall’azione amministrativa a terzi. Dunque, la copertura di incarichi dirigenziali o di responsabili di servizio ai sensi della combinazione degli articoli 19, comma 6, del dlgs 165/2001 e dell’art. 110 del dlgs 267/2000 (che dovrebbe considerarsi abolito, nonostante il contraddittorio avviso espresso sul merito dalle sezioni riunite della Corte dei conti) è ammissibile solo a condizione che tra il dirigente o il responsabile esterno intercorra un rapporti di lavoro subordinato. Non certamente un contratto di consulenza, che esclude radicalmente poteri gestionali, né un contratte di collaborazione, i quali non per. mettono al lavoratore autonome di impegnare direttamente verso terzi l’ente. Il collaboratore di un ente, infatti, rivolge la propria attività esclusivamente a beneficio del committente.
Italia Oggi – 12 agosto 2011