La Suprema corte, con la sentenza 17093 (su www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com) annulla la decisione con cui la Corte d’Appello aveva chiesto il reintegro di un lavoratore licenziato perché accusato di aver fatto delle avances verbali all’inquilina dello stabile dove stava lavorando.
L’esistenza del giustificato motivo soggettivo – Per i giudici di secondo grado la massima punizione nei confronti dell’operaio era eccessiva proprio in base alla testimonianza della diretta interessata che aveva ridimensionato le gravi accuse fatte dall’amministratore dello stabile. L’inquilina si era, infatti, preoccupata per il corteggiamento dell’operaio solo dopo aver ascoltato i Tg che parlavano delle molestie compiute dal “cosiddetto mostro dell’ascensore” (che colpiva però a Genova mente la signora abitava in provincia di Cuneo). Secondo la ricostruzione dei giudici di secondo grado, l’uomo si era in effetti introdotto nella casa con la porta socchiusa per chiedere il numero di telefono della proprietaria, ma senza insistere troppo. Tanto è vero che al rifiuto di fornire l’informazione richiesta aveva dirottato le sue attenzioni su un’amica della signora chiedendo anche a questa di poterla chiamare.
Il “consiglio” di adibire il lavoratore ad altra mansione – Troppo severa dunque per i giudici d’appello la sentenza dei magistrati di primo grado che avevano dichiarato la legittimità della scelta dell’azienda di licenziare il “tombeur des fammes” per aver compromesso irreparabilmente – come previsto nell’ipotesi di giustificato motivo soggettivo – il giudizio sulla sua futura affidabilità. La Corte d’Appello, dopo aver negato l’esistenza di una lesione degli obblighi contrattuali e del vincolo fiduciario, “suggerisce” al datore di lavoro di neutralizzare il Casanova adibendolo a mansioni di squadra o comunque diverse dalla manutenzione di ascensori in palazzi destinati ad uso abitativo. Su questo punto gli ermellini si dissociano considerando la motivazione che nega il giustificato motivo soggettivo superficiale e illogica.
L’elasticità della norma – Il collegio di piazza Cavour sottolinea, infatti, che in tema di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il giudice gode della discrezionalità per esprimere un giudizio di valore necessario a integrare una norma che il legislatore stesso ha voluto elastica per adeguarla al contesto storico-sociale. Ma deve farlo supportando il suo ragionamento con una logica che tenga conto dei fenomeni socio-economici come dei principi generali dell’ordinamento. Nel caso specifico dunque gli ermellini rinviano la causa alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio, invitandoli a tener conto dei principi costituzionali da cui si desume che “l’assetto organizzativo dell’impresa è, di regola, insindacabilmente stabilito dal datore di lavoro e che il giudice non può imporre all’imprenditore modifiche delle proprie scelte organizzative”.
ilsole24ore.com – 8 agosto 2011