Tentativi falliti di accorparle. Emolumenti oltre i 10 mila euro al mese. Taglieremo” ha promesso ieri la giunta. Annunci simili sono però già andati a vuoto . Cinque dirigenti di una di queste spa costano alle casse della Regione 800 mila euro
PALERMO — L’ultimo grido, dalla Sicilia che non riesce a sposare l’austerity, l’ha lanciato ieri l’assessore all’Economia Gaetano Armao: «Taglieremo gli stipendi delle società regionali». Un proclama che, nell’isola dalle indennità d’oro, porta con sé la denuncia di un nuovo scandalo: quello delle spa a partecipazioni pubbliche. Enti decotti, invia di smantellamen -to o da accorpare perrisparmiare soldi pubblici, che continuano a erogare ai propri dirigenti compensi che fanno a pugni con la situazione economica del Paese. La vicenda emblematica è quella del Ciem: sigla che sta per «Centro per l’internazionalizzazione e la promozione dell’economia euro-mediterranea». Nome più lungo dell’aspettativa di vita: la società, partecipata interamente dalla Regione, è in liquidazione da oltre due anni e il governo di Raffaele Lombardo sta cercando di trasferire i suoi 23 dipendenti in altri enti. Ci ha provato già nella primavera del 2010: i responsabili delle altre società, poco inclini ad accollarsi altri stipendi, rifiutarono il “regalo”.
C’è da capirli, forse. Solo per fare un esempio: il direttore generale di questa struttura-fantasma, Antonino Giuffrè, guadagna 13.300 euro lordi al mese. E timona la spa malgrado una condanna a un anno e sei mesi relativa all’attività di revisore dei conti dell’Arnia, la municipalizzata dei rifiuti di Palermo. Somme non molto diverse vengono percepite dai manager di altre società partecipate dalla Regione. Basti pensare a Sicilia e-servizi, una spa che si occupa di informatizzazione e che n egli ultimi anni ha imbarcato nei propri organici (e in quello delle collegate) una sfilza di amici e parenti di politici. Perle sole indennità fisse dei cinque dirigenti (fra cui c’è anche il figlio del sindaco di Palermo Diego Cammarata) la società spende quasi 800 mila euro. Il direttore generale di Sicilia e-servizi, Dario Colombo, percepisce, al netto dei premi, una cifra annua lorda che si aggira sui 250 mila euro. E cumula questa indennità con quella di amministratore delegato della Gesap, la società che gestisce l’aeroporto di Palermo.
I colleghi, va da sé, seguono a ruota: Leonardo Palazzolo, responsabile del settore legale, supera i 200 mila euro. Allargando l’orizzonte: 13 mila euro lordi al mese, circa 9 mila netti, guadagna anche Vincenzo Paradiso, direttore di Sviluppo Italia Sicilia. E alla Serit, la società che si occupa della riscossione dei tributi nell’Isola, il direttore generale Antonino Finanze si attesta sui 160 mila euro lordi. Sempre al netto dei premi. Il direttore generale di Multiservizi, Antonio Zagarella, viaggia sui 140 mila euro. Mentre si ferma appena sotto i 100 mila euro l’ex assessore provinciale (e commissario dell’Mpa a Palermo) Nicola Vernuccio, che è l’unico dirigente della Resais, un ente-parcheggio per lavoratori in mobilità. Le spa regionali, che dovevano incarnare il sogno della new economy alla siciliana, proliferarono durante i governi Cuffaro: oggi sono trenta.
Sin dal suo insediamento, nel 2008, l’attuale presidente Raffaele Lombardo annunciò un provvedimento di riduzione di questi en -ti, attraverso liquidazioni e accorpamenti, i cui effetti dovrebbero finalmente avvertirsi quest’anno. Nel frattempo ha ridotto i compensi dei membri dei consigli d’amministrazione, fissando un tetto di 50 mila euro. Erano sfuggiti, a Lombardo, i dirigenti “interni” alle società, i burocrati lontani dai riflettori. E i loro stipendi d’oro. Ora l’assessore Armao, che ha annunciato il recepimento delle norme sui costi della politica contenuti nella manovra nazionale, dice basta: «Non è possibile che ci siano queste cifre, inter-verremo». La proposta, che andrà all’esame dell’Assemblea, è quella di un allineamento con i trattamenti economici dell’amministrazione-madre, la Regione siciliana. Ma il rischio è che la”dieta”, anche questa volta, rimanga sulla carta.
repubblica.it – 19 luglio 2011