Più che un oggetto misterioso la manovra 2011-2014, variamente dipinta nei giorni scorsi, assomigliava a quella stampati Max Escher, “Salire e scendere”, in cui tanti omini salgono e scendono, e si ritrovano alfine al punto di partenza.
E il punto di partenza era il tentativo frustrante e frustrato di usare le quattro operazioni per dare coerenza ai numeri di entrate e spese. Bene ha fatto quindi il ministero dell’Economia a comunicare i “Numeri della manovra”: un’asciutta tabellina in cui i 4o miliardi vengono spezzati, lungo i quattro anni di vigenza, nell’impatto del decreto legge e in quello della legge delega.
È legittimo il sospetto che le incertezze precedenti fossero dovute a un modo confuso di sommare i numeri: l’accumulo anno dopo anno delle misure correttive non è la stessa cosa dell’impatto sul deficit nell’anno finale. Adesso questo impatto viene cifrato in 4o miliardi di euro, ma di questi una quindicina provengono dalla riforma fiscale-assistenziale oggetto della legge delega. E a questo punto le domande da porsi sono due. La quantificazione delle misure è attendibile? Quali saranno gli effetti di queste correzioni sulla crescita dell’economia? Sul primo punto c’è da osservare che la riduzione delle spese è ragguardevole e abbisogna di un esecutivo coeso e determinato (si intende l’esecutivo del 2013-2014). Non è impossibile ridurre il peso della spesa in Italia, anche se questo è già modesto nel confronto internazionale (la spesa pubblica, al netto degli impegni ereditati – interessi e pensioni in essere – è la verità nascosta dei numeri più bassa fra i Paesi dell’euro). Ma per ridurla bisogna ridisegnare la macchina dello Stato: per esempio abolire province, accorpare comuni, affrontare il “socialismo municipale”, liberalizzare, semplificare, rinunciare a tante mano-morte demaniali, e così via. Di tutto questo non vi è traccia nei documenti della manovra, col rischio che i tagli forzosi portino sì a risparmi ma anche al degrado di servizi pubblici che già oggi non brillano per efficienza. Per quanto riguarda le entrate, è impossibile valutare gli effetti della legge delega, dato che i 15 miliardi attesi di maggior gettito/minori trasferimenti assistenziali sono una somma netta. Bisogna vedere le componenti lorde, le voci in aumento e quelle in diminuzione. Ma c’è una sola certezza: la riforma fiscale non sarà a costo zero. Includendo anche quelle “imposte negative” che sono i trasferimenti, il combinato disposto porterà ad appesantire il fardello per i contribuenti (e la clausola di salvaguardia va tutta ad appesantire il carico fiscale, con i tagli alle agevolazioni). Può darsi che la mutata composizione del prelievo-m& no imposte dirette e più indirette -sia più razionale e agevole rispetto a oggi, ma si tratta di una consolazione tutta da verificare. Per adesso non si può che condividere il giudizio di Maria Cecilia Guerra (www.lavoce.info): la riforma non è decifrabile e ripete, al limite del plagio, pezzi e pezzetti della Legge delega «presentata da Tremonti nel 2001, approvata dal Parlamento nel 2003 e poi largamente non esercitata». Ed è ironico che, dopo aver rinnovato ancora una volta la promessa di abolire l’Irap (nel tempo a venire), l’unica cosa concreta che si fa in proposito è di … aumentarla (per banche e assicurazioni).
Quali gli effetti sull’economia? Le dichiarazioni del ministro Tremonti insistono giustamente sul fatto che i dubbi dei mercati sulla tenuta dell’Italia non vertono tanto su entrate e spese, quanto sulla scarsa crescita, che rende di tanto più difficile la gestione dei conti pubblici. E nella manovra vengono elencate varie norme di sostegno alla crescita stessa. Ma non basta scrivere le norme, bisogna applicarle e qui soccorre la necessità di un’azione amministrativa intensa e prolungata, che abbisogna di una mano ferma sul timone governativo. Un Governo che tuttavia non dà la migliore immagine di sé in questo delicato momento: le diatribe sul coinvolgimento dei privati nella correzione dei debiti sovrani esaltano i timori di contagi in Europa e riportano il nostro Paese nel mirino dei mercati, come si vede dallo spread record fra BTp e Bund. Non era proprio il momento per dare l’impressione che ancora una volta si voleva usare delle leggi dello Stato per fare favori a un’azienda, e neanche il momento per mandare in onda insulti fra ministri. L’economia italiana, dicono spesso i governanti, ha bisogno di una scossa. Anche il Governo?
Italia Oggi – 8 giugno 2011