Diverse proposte di legge, tutte del centrodestra, per il cambiamento. E in Senato è stata avviata un’indagine conoscitiva.
C’è chi suggerisce la liberalizzazione, sul modello Usa, con tanto di “rating” degli atenei e chi teme che i cittadini siano meno tutelati e aumentino le disuguaglianze sociali. E se la laurea anche in Italia perdesse il proprio “valore legale”, come negli Stati Uniti? Se, cioè, smettesse di avere lo stesso valore se conseguita a Catania o a Milano, assumendo invece un valore diverso in base all’ateneo che la rilascia? Cosa accadrebbe nel nostro Paese?
Dell’abolizione del valore legale del diploma di laurea si parla in questi giorni in Parlamento, nell’ambito dell’indagine conoscitiva avviata dal Senato sul tema “Effetti connessi all’eventuale abolizione del valore legale del diploma di laurea”.
Il mondo economico considera il valore legale del titolo di studio ormai superato e spinge perché l’inutile orpello venga abolito quanto prima. Il mondo accademico, e non solo, è invece contrario e mette in guardia dalle ripercussioni di una simile scelta. Intanto, in Parlamento sono diverse le proposte di legge sull’argomento, tutte del centrodestra. Ma cosa vuol dire abolire il valore legale di un titolo di studio, laurea o diploma che sia? Perché un titolo di studio deve avere un valore legale?
A spiegarlo in modo chiaro è lo stesso direttore Education di Confindustria, Claudio Gentili, ascoltato dalla commissione Cultura del Senato lo scorso 25 maggio. “Nelle intenzioni del legislatore, il valore legale del titolo di studio doveva essere un ‘marchio di qualità’ concesso dallo Stato alle università”, che avrebbero dovuto “garantire ai cittadini la qualità della formazione universitaria”. “I cittadini – continua Gentili – che si servono
di professionisti, le imprese e il settore pubblico che assumono laureati sarebbero stati così garantiti sulla qualità delle competenze di quelle persone in base a curricula certificati”.
Ma, sempre secondo Confindustria, “il vero limite del valore legale sta nel suo uso formalistico che spesso ha ottenuto risultati opposti a quelli desiderati”. “Abrogare il valore legale potrebbe significare – spiega il presidente della Crui, la conferenza dei rettori italiani – liberalizzare la formazione universitaria, lasciando che chiunque possa istituire una ‘università’ e che il mercato faccia da regolatore del valore, sostanziale e non formale, dei titoli rilasciati”.
Ma non solo. Per accedere alla Pubblica amministrazione o alle professioni, oggi, è richiesto un determinato titolo accademico o di istruzione superiore avente valore legale. “Abrogare tale riconoscimento vorrebbe dire consentire l’accesso ai concorsi pubblici a chiunque, indipendentemente dagli studi compiuti, o che chiunque potrebbe sostenere l’esame di abilitazione alle professioni di avvocato, ingegnere o medico senza essere laureato in giurisprudenza, ingegneria o medicina”.
Ma il neoeletto presidente dei giovani industriali, Jacopo Morelli, rilancia dalle pagine di un quotidiano: “La prima cosa che chiederemo è l’abolizione del valore legale del titolo di studio”. Raccogliendo il consenso del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, secondo il quale “bisogna togliere pezzi di casta e pezzi di carta”. Ma come si fa a capire quanto vale in effetti una laurea sprovvista di valore legale? Occorre “un sistema di accreditamento – spiega Gentili – dei corsi di studio, svolto da agenzie indipendenti, che assicuri la verifica del ‘valore reale’ dei corsi di studio universitari”. Una specie di rating degli atenei.
I sindacati e diverse associazioni di docenti, studenti e ricercatori universitari – Adu, Andu, Cisal-docenti universitari, Cisl-Università, Cnru, Cnu, CoNPAss, Flc-Cgil, Link, Rete29Aprile, Snals-Università, Udu, Ugl-Università, Uilpa-Ur, Usb-Pubblico impiego – considerano “il mantenimento del valore legale del titolo di studio un dato centrale del sistema universitario italiano” e temono “che la sua abolizione possa incrementare le disuguaglianze sociali ed economiche”.
Anche gli ordini professionali manifestano forti perplessità. Dopo una lunghissima disamina della questione, il Consiglio nazionale forense conclude che in Italia “mancano le fondamentali precondizioni necessarie a che l’abolizione del valore del titolo di studio universitario ai fini di abilitazioni e concorsi pubblici possa dare dei concreti e dimostrabili benefici”. E per non rimanere sul vago, il Consiglio nazionale degli ingegneri ritiene che “stante l’attuale quadro normativo, l’abolizione del valore legale del titolo di studio, comporterebbe un indebolimento della già ridotta capacità dell’Ordine degli ingegneri di garantire la qualità delle prestazioni dei propri iscritti”.
Sulla questione si sono pronunciati di recente anche medici e odontoiatri. La Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri “esprime forti dubbi sul venir meno della certezza dal punto di vista giuridico del titolo conseguito che è la certificazione comprovante la conclusione di un percorso formativo compiuto secondo la normativa vigente”. Secondo i camici bianchi, il valore legale della laurea “si rende necessario dall’esigenza giustificata di tutelare il pubblico interesse”.