Secondo l’economista, coordinatore del Ceis Sanità di Tor Vergata ad una prima lettura delle ipotesi di manovra, il finanziamento medio per la sanità previsto per i prossimi tre anni dal Governo (+1,5%), se confrontato con le previsioni di crescita di Pil nello stesso periodo (+3,3%), sempre dell’Esecutivo rischia di configurare una recessione della Sanità pubblica che potrebbe costare ai cittadini, direttamente o indirettamente, 10 miliardi di euro in tre anni. E l’impatto sarò maggiore al Centro-Sud.
Secondo la manovra il finanziamento pubblico della Sanità dovrebbe aumentare dello 0,5% per il prossimo anno e del 1,4% in quelli seguenti con una media per il biennio 2013-2014 dello 0,9%. Per “apprezzare” il taglio sulla Sanità pubblica è necessario confrontare questo dato con le previsioni di crescita del PIL, che il Governo stima fra il 3,1% e il 3,4% annuo, da qui al 2014.
Già dalle percentuali è facile convincersi che alla Sanità si chiede un contributo rilevante al risanamento della finanza pubblica: il “taglio” è di circa il 1,7% annuo e, cosa ancora più rilevante, inferiore dello 0,6% della crescita reale per il 2013 e 2014: quindi per la Sanità pubblica si configura una recessione in termini reali, di dimensioni tutt’altro che banali.
In pratica il finanziamento pubblico della Sanità che è stato congelato al 6,7% del PIL da alcuni anni, si ridurrebbe giungendo al 6,3% nel 2014: affinché l’impatto sulle famiglie fosse nullo, la spesa sanitaria si dovrebbe ridurre di una somma di circa 10 miliardi di euro da qui al 2014, ovvero oltre il 6% circa di tutta la spesa sanitaria pubblica e privata attuale; si consideri che la riduzione dovrebbe avvenire al netto anche degli aumenti dei prezzi, stimati per il resto dell’economia nell’ordine del 2% annuo, e che in Sanità sono normalmente più alti per effetto dell’innovazione: quindi la riduzione reale sarebbe ancora maggiore.
Che la manovra sia molto “significativa” si può apprezzare considerando che, sempre affinché la manovra non comporti un impatto sulle famiglie, si allargherebbe in modo sostanzialmente inspiegabile il divario di spesa sanitaria fra l’Italia e gli altri Paesi Europei: rispetto ai Paesi della “Big EU” si raddoppierebbe il gap attuale, che vede la spesa sanitaria italiana già significativamente inferiore alla media di quei Paesi. Ma che la spesa pubblica possa ridursi in modo così significativo rispetto al PIL, in controtendenza con gli andamenti internazionali , appare lecito dubitare: appare più probabile che i cittadini debbano mettersi le mani in tasca per pagare maggiori ticket (che infatti vengono aumentati), maggior prestazioni out of pocket e, infine, per pagare con tasse regionali i disavanzi. Per mantenere i livelli di spesa sanitaria (pubblica e privata) attuali che si attestano a circa il 9% del PIL, come si è detto le famiglie direttamente e indirettamente dovranno sborsare circa 10 miliardi, ovvero circa 500 euro annui a nucleo familiare.
Ma l’aspetto più significativo sarà di ordine equitativo: chi pagherà il conto? Certamente i cittadini del meridione e del Lazio, Regioni dove si concentrano i disavanzi e quindi dove maggiore dovrà essere il prelievo compensativo. Per la restante parte, quella delle compartecipazioni, il rischio è che il federalismo comporterà di nuovo che il maggiore onere relativo sia i cittadini più poveri, ovvero ancora quelli meridionali.
La manovra porta quindi ad una riflessione doverosa sul federalismo: che il federalismo sia un bene per il Paese, almeno chi scrive non ha dubbi; ma, sempre chi scrive, non ha neppure mai avuto dubbi che il ritardo strutturale del Paese nel prendere decisioni abbia portato ad affrontare la transizione al federalismo nel momento peggiore, ovvero senza risorse capaci di lenire gli impatti iniziali: oggi la manovra lo conferma, in quanto di fatto allargherà le iniquità nel Paese. Ed allora si dovrebbe almeno evitare che nell’applicazione del federalismo si introducano surrettiziamente ulteriori iniquità, ovvero occasioni di allargare la “durezza” degli impatti sociali: la manovra di nuovo ha il pregio di mettere a nudo che il criterio dei costi standard in via di approvazione è già superato dai fatti … si chiarisce finalmente che i LEA si finanziano anche con le compartecipazioni e quindi che la determinazione dei differenziali di bisogno sanitario sulla base del solo fattore età è iniquo, perché non tiene conto della differenza potenziale di gettito regionale dei ticket (a meno di non volere eliminare le esenzioni per reddito).
L’importanza della manovra e la sua ineluttabilità, dovrebbero far riflettere attentamente sull’ostinazione a non voler riconoscere la complessità del settore sanitario e il suo variegato impatto sociale, con l’esito di rischiare di allargare le differenze nel Paese, in un momento in cui invece i nodi vengono al pettine e ci vorrà grande coesione per far fronte alle difficoltà.
Federico Spandonaro
Coordinatore Ceis Sanità della Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata
Quotidianosanita.it – 1 luglio 2011