La Cassazione, con sentenza 24395 del 2011, ha affermato che il comportamento del professionista che fa i dispetti al collega per costringerlo a recedere dall’associazione ha rilevanza penale
Il caso
Uno dei titolari di uno studio associato di commercialisti è condannato per il reato di violenza privata nei confronti di un collega. L’imputato scollegava dalla rete il computer del collega, bloccando lo svolgimento regolare dell’attività professionale e tratteneva le chiavi della stanza, impedendone l’accesso. Tutto questo per far sottoscrivere al collega «mobbizzato» un atto di scioglimento dell’associazione professionale dei due.
L’imputato presenta ricorso per cassazione eccependo il travisamento delle prove, in quanto la decisione è fondata principalmente su riscontri di testimoni e sulle dichiarazioni della persona offesa. La Cassazione, invece, sottolinea, che la motivazione della sentenza impugnata è legittima perché è evidente che alla persona offesa fu impedito di accedere alla propria stanza e di utilizzare il proprio computer. La Suprema Corte afferma la piena sussistenza del dolo: non ci sono dubbi che l’imputato abbia posto in essere le condotte volontariamente e al fine di ottenere, mediante coartazione della volontà della persona offesa, il suo recesso: al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese giudiziali.
Lastampa.it – 22 giugno 2011