Il vice presidente di Confindustria, Alberto Bombassei ha lanciato la proposta di rafforzare la contrattazione aziendale
Sembra una questione di lana caprina e poco comprensibile, ma in realtà la partita aperta dalla nota del vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei – in risposta alle perplessità della Fiat di Sergio Marchionne sull’utilità dell’adesione del Lingotto a Confindustria – rischia di incendiare di nuovo il fronte sociale e sindacale.
Ecco in sintesi, la proposta di Bombassei: contratti aziendali approvati a maggioranza dai lavoratori, pienamente vincolanti per tutti i sindacati, e soprattutto alternativi ai contratti nazionali di categoria validi per tutto un settore industriale. Il tutto blindato da una norma di legge approvata dal Parlamento. «Le scelte di Confindustria aveva scritto Bombassei – sono ispirate all’unico criterio di creare le migliori condizioni perché le aziende possano essere competitive oggi». Un’idea che ha lo scopo di mantenere tutti (una Fiat sempre più riluttante compresa) sotto l’egida di Confindustria. Ma che sta sollevando molte tensioni. Se ogni azienda può stipulare un contratto aziendale diverso e specifico – molti si chiedono – allora a che serve Confindustria e i suoi contratti nazionali, peraltro ancora graditi alla maggioranza degli associati, poco lieti di negoziare in azienda col sindacato?
«È chiaro che si tratta di un’idea sbagliata – replica da Trento il segretario della Cgil Susanna Camusso – noi continuiamo a pensare che il contratto nazionale è il punto di riferimento generale per le tutele e poi bisogna incrementare la contrattazione di secondo livello per le questioni specifiche». Per il segretario della Cgil si tratta di un paradosso per la confederazione degli industriali. «Se passa l’idea che ci sia una legge sulle modalità di contrattazione – ha affermato – spero che poi il vicepresidente raccolga le firme per sciogliere Confindustria, perché non si capirebbe più quale senso avrebbero le rappresentanze delle parti sociali». Il nodo sul tappeto è soprattutto quello della rappresentanza aziendale, molto caro alla Cgil. «Per definire la rappresentanza – ha aggiunto Susanna Camusso – bisogna misurare e certificare gli iscritti delle singole organizzazioni, poi incrociare questo dato con l’elezioni delle rappresentanze sindacali e della loro efficacia». Su questo si è avviato un confronto con i leader di Confindustria, Cisl e Uil, ma senza passi avanti concreti.
A Bombassei ribatte anche il segretario Cisl Raffaele Bonanni che pur concordando sul fatto che «un accordo firmato dal 50% più una testa, quindi dalla maggioranza del sindacato, deve avere un’applicabilità imprescindibile» non condivide la definizione delle regole per via legislativa.
«Penso che sia da evitare la legge, bisogna arrivare – dice invece – a un avviso comune tra le parti». Peraltro, la Cisl ma soprattutto la Uil – difficilmente possono accettare la cancellazione di uno dei due livelli contrattuali, ovvero quello nazionale. La proposta di Bombassei non convince nemmeno il Pd e l’Idv. «Dire oggi che gli accordi aziendali possono sostituire i contratti nazionali è pura demagogia – afferma Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro dell’Idv perchè il numero di aziende che, dal 2009, hanno fatto accordi è pari al 2%». Cesare Damiano del Pd accusa il vice presidente di Confindustria di fare uno «sforzo per tenere insieme capra e cavoli», cioè il modello contrattuale basato su due livelli (nazionale e decentrato) e quello basato solo sul contratto aziendale. «Una simile innovazione – afferma rappresenta uno strappo e non un semplice e auspicabile riequilibrio a favore di quello decentrato».
Lastampa.it – 6 giugno 2011