Negli ultimi anni il business delle cure alternative è cresciuto e vale 150 miliardi
La linea della Commissione europea è che da oggi «i cittadini possono essere tranquilli del fatto che i medicinali vegetali tradizionali che acquistano sono sicuri». L’organizzazione non governativa Avaaz, una delle tante sigle globali che hanno dichiarato guerra ai Ventisette in difesa della farmacia alternativa, ritiene invece che «si stiano vietando molte erbe curative, impedendo rimedi certi per favorire i profitti dell’industria».
Il dossier è ingarbugliato e la disputa è insidiosa perché mescola esigenze sanitarie, scelte personali e affari miliardari. I governi proteggono i consumatori o la lobby del banco? Lo scontro, come si vede, è duro quanto aperto.
L’oggetto del contendere è la direttiva numero 24 approvata l’11 marzo 2004 dal Consiglio dei ministri dell’Ue, ovvero dai responsabili dei governi degli stati membri (quel giorno l’Italia era rappresentata da due ministri berlusconiani, Rocco Buttiglione e Antonio Marzano). Il testo disciplina il mercato dei «Medicinali vegetali tradizionali», nuova categoria giuridica dalle radici millenarie che spazia dalla calendula al ginseng, elementi cardine della nuova medicina che negli ultimi anni si è diffusa a spese del business chimico (150 miliardi il fatturato mondiale stimato). Semplice il principio a monte della delibera: «Tutti i medicinali necessitano di un’autorizzazione per la messa in commercio. Gli articoli naturali non possono costituire eccezione».
Il legislatore ha introdotto una «procedura semplificata» di registrazione dei «medicinali vegetali tradizionali», compresi quelli cinesi, tibetani e ayurvedici, che aggira l’obbligo di sottoporli a test di sicurezza e prove cliniche. Sono esclusi dall’esame preventivo i prodotti di erboristeria, gli estratti vegetali e quelli utilizzati come integratori alimentari elaborati con piante officinali. È insomma solo una parte del mercato ad essere compresa nella direttiva. Non gli alimenti, ma quella che sfida le pastiglie da laboratorio.
La norma prescrive che per poter vendere un «medicinale vegetale tradizionale» occorre fornire prove sufficienti da cui risulti che il prodotto in questione non è nocivo, e dimostrare che sia stato usato a scopo terapeutico per almeno 30 anni, di cui almeno 15 anni nell’Ue. Secondo Bruxelles, è un percorso meno oneroso rispetto alla trafila imposta ai farmaci ordinari, pertanto «non mette fuori mercato i piccoli produttori». Il costo, dice l’Ue, varia da paese a paese, da 5 a 20 mila euro a titolo. Chi contesta la legge parla di cifre dieci volte superiori.
Fonti europee argomentano che proprio per agevolare il mercato alternativo, è stato assicurato un periodo transitorio di sette anni conclusosi ieri a mezzanotte. Da stamane, «un medicinale vegetale non registrato o autorizzato non può essere venduto», il che restringe il campo ai circa 150 prodotti regolarizzati in Europa negli ultimi tre anni, uno solo dei quali è italiano: il Pelargonium sidoides, pianta sudafricana utilizzata per le infezioni delle vie respiratorie. Tutto qui? I dati sono vaghi. «I certificati sono responsabilità nazionale – spiega un portavoce comunitario – e i dati complessivi non sono stati raccolti». In pratica, al momento, i consumatori non sanno esattamente cosa acquistare.
«I pazienti possono avere fiducia», insiste il commissario Ue alla Salute, John Dalli, parecchio contestato da molti per la posizione pro Ogm e la limitata propensione alla trasparenza delle etichette alimentari. Non ci credono quelli di Avaaz che da tre giorni raccolgono firme per far saltare tutto. Ne servono un milione e ieri sera erano già oltre le 400 mila. «La disposizione – spiega l’Ong – metterà al bando diverse erbe, costringendo molti di noi a sostituirle con farmaci che incrementano i ricavi delle aziende farmaceutiche».
«È vero che si è scoperto che alcuni prodotti contenevano pesticidi o correttori chimici – fanno notare alla Alliance for Natural Health -, ma è anche vero che si sono alzate barriere che impediranno l’accesso di parecchi farmaci, soprattutto quelli provenienti da paesi non pratici delle regole europee». Le organizzazioni dei consumatori contestano la soglia dei 15 anni, che «taglia fuori tutti i medicinali meno noti». «Le erbe vengono trattate come prodotti di sintesi – denuncia il sito di Naturmedica e saranno proibiti tutti gli integratori erboristici con significativi livelli di vitamine e minerali». Un disastro? Michael McIntyre, presidente della Associazione europea dei consumatori di medicine tradizionali, pratica un altrettanto tradizionale cerchiobottismo: «Ci sarà un impatto importante sui consumatori e i loro fornitori», spiega. Però «adesso sapremo esattamente cosa c’è nel botticino, cosa che prima non succedeva».
Lastampa.it – 1 maggio 2011