Dopo la nube, ora è l’ onda radioattiva a far paura. Quasi come se si trattasse di un nuovo tsunami il mare davanti alla centrale di Fukushima si sta riempiendo di radionuclidi pericolosi per la salute e per l’ambiente e la corrente sta spingendo al largo queste polveri radioattive disperdendole nell’Oceano Pacifico.
Lo tsunami radioattivo contamina e travolge tutto quello che incontra, pesci inclusi, la principale risorsa di cibo del Giappone, patria del sushi.
Proprio ieri i tecnici della Tepco hanno sversato in mare 11.500 litri di acqua altamente contaminata, e il governo giapponese – che ha autorizzato l’operazione – si è scusato davanti al mondo della decisione, spiegando che non si poteva fare altrimenti. Però già da diversi giorni dalla centrale di Fukushima colava in mare acqua radioattiva. La stessa acqua di mare usata per tentare di raffreddare i reattori danneggiati dal sisma e dallo tsunami, una volta lanciata attraverso le pompe, gli idranti e gli elicotteri, si riversava di nuovo in mare con tutto il suo carico di scorie radioattive. Davanti alla costa i livelli di radioattività sono elevatissimi. Ma anche più al largo a trenta chilometri dalla centrale la concentrazione di radionuclidi non scherza.
In mare finisce di tutto, dal cesio 137, allo iodio 131. Potrebbe anche esserci del plutonio, dal momento che tracce di questo velenosissimo elemento radioattivo sono state rilevate nelle falde vicino alla centrale di Fukushima. Secondo quanto riferisce la stampa giapponese lo iodio radioattivo trovato nell’acqua marina dinanzi al reattore numero 2 dell’impianto atomico di Fukushima, in Giappone, è 5 milioni di volte superiore al limite legale, mentre il cesio-137 è di 1,1 milioni di volte oltre la norma consentita. Mentre lo iodio-131 ha una vita media relativamente breve, di otto giorni, la sua emivita di decadimento è di 30 anni. Anche più al largo le cose non vanno bene, anche se in questo campo i dati disponibili sono ancora pochi. “ Al momento”, spiega Roberta Delfanti, ricercatrice dell’Enea in un’intervista pubblicata su Marescienza, “ tutto quello che sappiamo è che a 30 chilometri al largo della centrale il livello di iodio 131 e di Cesio 137 è pari a circa 20/30 Bequerel per litro, ovvero diecimila volte più alti di quanti ne venivano misurati prima dell’incidente”.
Difficile dire se queste concentrazioni di radioattività possano avere ripercussioni dirette sulla vita marina e di conseguenza anche sul sushi che arriva sulle nostre tavole. Il perché è semplice. “ Intanto”, spiega Aldo Grasselli presidente della Società italiana dei veterinari di medicina pubblica (Sivemp), chiamati proprio al controllo sanitario degli animali importati dall’estero, “ escluderei che possa arrivare da noi pesce contaminato. Lo tsunami ha reso impossibile la pesca nelle acque limitrofe alla centrale di Fukushima, quindi mi sembra del tutto implausibile che ci siano rischi nell’immediato per noi ”.
E poi bisogna considerare che i radionuclidi una volta arrivati in mare hanno comportamenti del tutto particolari che li rendono relativamente meno pericolosi rispetto a quanto avviene in atmosfera. Per esempio, spiega Delfanti “ lo iodio e il cesio sono entrambi elementi solubili che seguono le correnti. Inoltre lo Iodio ha un tempo di decadimento relativamente basso di appena otto giorni, per cui è lecito attendersi una sua progressiva riduzione con il semplice passare dei giorni. Il cesio invece ha tempi di decadimento più lunghi ma da un punto di vista chimico si comporta come il potassio, un elemento molto diffuso nel mare”. Questo vuol dire che gli organismi tendono ad assumere il potassio naturale che è molto più diffuso in mare rispetto al cesio radioattivo così restano immuni. “ In pratica”, aggiunge la ricercatrice dell’Enea, “ avviene in natura quello che succede quando prendiamo delle pillole di iodio per impedire allo iodio radioattivo di insediarsi nella nostra tiroide”. Certo però con le concentrazioni di radioattività misurate al largo di Fukushima, “ c’è da attendersi che i pesci che vivono in quell’area abbiano ormai raggiunto”, spiega Delfanti: ” un livello di radioattività vicino ai limiti stabiliti dalle norme di sicurezza”.
L’impatto maggiore sarà comunque quello più vicino all’area della centrale fino a una profondità di circa cento metri. “ In questa area è lecito aspettarsi effetti tangibili sull’ambiente. Più lontano dalla centrale, in mare aperto, i pericoli sono minori. Anche perché per fortuna”, spiega Delfanti: “ il mare ha una grande capacità di diluire e di assorbire queste sostanze. Solo una piccolissima frazione delle polveri radioattive finiscono infatti nei fondali e questo consente di attenuare l’impatto di questo tipo di sostanze sull’ambiente marino”. In questo scenario gli organismi marini più esposti alle radiazioni non sono quelli che si usano per fare il sushi, ovvero il tonno che è un pesce pelagico e vive in mare aperto, ma quelli che non si possono muovere: alghe, molluschi, invertebrati e pesci stanziali che vivono a ridosso dell’area più a rischio. Insomma il problema è per cozze, vongole e gamberi che vengono pescate nell’area della centrale.
Difficile che arrivino sulle nostre tavole e difficile anche che arrivino nelle tavole dei ristoranti giapponesi in Italia. Il pesce che viene usato è infatti pescato nei mari italiani, soprattutto il tonno, che nei mercati di Mazara del Vallo è preda dei commercianti giapponesi. Un problema potrebbe venire dai surgelati e in particolare dai prodotti che contengono diverse specie, per esempio quelle con i condimenti del risotto o degli spaghetti alla marinara. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un fattore marginale. Le importazioni dal Giappone di questo tipo di prodotti sono davvero poca cosa, appena 700mila euro all’anno, e poi i prodotti sono etichettati e si può risalire alla zona di origine che è denominata in “ Zone Fao”. Quella che indica pesce pescato nel Mediterraneo è la “ Zona Fao 37”
6 aprile 2011