I produttori nazionali di latte guardano con preoccupazione all’eventualità che Lactalis diventi padrona assoluta di Parmalat e che il settore si concentri nelle mani di poche grandi imprese estere.
«O riusciamo a valorizzare la filiera industriale italiana o i francesi verranno a fare gli imprenditori in casa nostra acquisendo la materia prima dove costa meno», dice Antonio Baietta, presidente di Santangiolina, la cooperativa lombarda che associa 400 allevatori e produce 7mila quintali di latte al giorno. Santangiolina vende una quota del suo latte al gruppo di Collecchio, al cui salvataggio ha partecipato non facendole mai mancare il prodotto nelle drammatiche settimane a cavallo tra il 2003 e il 2004, dopo la dichiarazione dello stato d’insolvenza. Della società di cui Enrico Bondi è amministratore delegato detiene un pacchetto di titoli. «E vedersela scippare da una multinazionale non è il massimo. Per me, anzi, il mondo agricolo dovrebbe aggregarsi per sottoscrivere un discreto numero di azioni Parmalat».
Ragiona Baietta: Parmalat è l’architrave dell’industria lattiera italiana, che con 14,3 miliardi di fatturato aggregato, 100mila addetti diretti e indiretti e oltre 39mila stalle titolari di quote latte (censite dall’Agenzia erogazioni per l’agricoltura) rappresenta il principale comparto dell’agroalimentare. Se il gruppo emiliano finisse sotto il giogo di Lactalis, il settore sarebbe seriamente danneggiato. Da una parte perché i francesi controllano già, con il proprio marchio e attraverso Cademartori, Locatelli e Galbani, circa il 30% del mercato nazionale dei formaggi semi-duri. Dall’altro perché, in prospettiva, «i contributi europei andranno a ridursi ed è destinato a cadere il sistema delle quote latte», aggiunge Baietta. Sfavoriti dall’alto valore dei terreni, dal maggior costo dell’energia e dall’eccesso di burocrazia, i produttori italiani subiranno la crescente concorrenza di quelli francesi e tedeschi, che possono contare già oggi su prezzi più competitivi.
Roberto Arata è direttore generale di Agripiacenza Latte, 4mila quintali di latte al giorno, 250 dei quali destinati a Parmalat, e circa 70 milioni di fatturato. Dichiara: «Gli allevatori debbono diventare interlocutori economicamente forti delle multinazionali che vengono in Italia per sfruttare i nostri marchi con materia prima più a buon mercato proveniente dall’estero. Purtroppo il mondo agricolo nazionale fatica a costituire gruppi di produttori come il nostro che possano entrare nel mercato in forma associata, con quantitativi importanti».
Il settore soffre inoltre per l’eccessiva frammentazione. La maggior parte delle stalle – che vendono alle cooperative di trasformazione o a quelle di raccolta, che rinvendono all’industria – è a conduzione familiare e ognuna non ha più di dieci vacche. Le stalle con 700-800 capi sono rare. Nel 2009-2010 la produzione totale italiana ha sfiorato i 10,9 milioni di tonnellate, ma l’80% è concentrata nelle regioni del Nord. Solo in Lombardia vengono prodotti circa quattro milioni e mezzo di tonnellate di latte, un altro milione e mezzo è prodotto in Emilia Romagna, seguono Veneto con un milione e Piemonte con meno di un milione.
Anche Luciano Negri teme lo sbarco di Lactalis sul mercato nazionale del latte liquido. Negri è direttore generale di Soresina, una cooperativa di Cremona di 230 allevatori, che produce e vende 10mila quintali di latte al giorno, ma anche grana padano, provolone e burro. Dice: «Già oggi mi risulta che parte del latte utilizzato in Italia da Lactalis arrivi dalla Francia». Gli chiediamo, nell’ipotesi che Lactalis diventi proprietaria unica di Parmalat, se il governo possa imporle un accordo che la obblighi ad approvvigionarsi dai nostri allevatori. Risponde: «Qualsiasi accordo rimarrebbe sulla carta. Per vincolo statutario, la nostra cooperativa deve ritirare tutto il latte dei suoi soci, che hanno a loro volta l’obbligo di conferirlo solo a Soresina. Ma chi acquista e confeziona latte come Lactalis – conclude – vuole le mani libere per acquistarlo dove più gli conviene».