Se il dipendente insulta il capo, ma lo fa una sola volta, l’episodio non è così grave da causare il licenziamento. Così la Cassazione nella sentenza 3042 del 2011
La sentenza esclude che la pronuncia di frasi offensive nei confronti del superiore gerarchico, benché alla presenza di terze persone, possa essere valutata alla stregua di una condotta talmente grave da giustificare, su un piano contrattuale, il licenziamento.
Il caso
La dipendente di una casa di cura calabrese ricorre al giudice del lavoro per chiedere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare irrogatole dal datore di lavoro. L’istanza viene accolta; il Tribunale dispone la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno e alla regolarizzazione della posizione contributiva. Anche il giudice d’appello conferma, sulla base sulla mera considerazione che gli addebiti contestati, ossia il rientro in servizio non autorizzato in periodo di congedo, la pronunzia di espressioni offensive nei confronti di un superiore e la ricostruzione non veritiera di taluni fatti, non avrebbero potuto legittimare il licenziamento, essendo essi riconducibili a comportamenti per i quali il contratto collettivo di categoria (art. 33, lett. f-g) prevede l’irrogazione di una mera sanzione conservativa.
Lastampa.it – 29 marzo 2011