Sin dall’introduzione del l’azione di classe ci si è interrogati su ambiti e limiti di applicabilità del nuovo istituto, senza che però si sia approdati a un’ipotesi ricostruttiva unitaria.
L’articolo 140-bis del Codice del consumo sembrerebbe chiaro nel consentire a consumatori e utenti di attivare il nuovo rimedio per il ristoro delle pretese derivanti da violazioni contrattuali, danni da prodotto e pregiudizi causati da comportamenti latamente anticoncorrenziali, sempre che lo stesso illecito colpisca diritti individuali e omogenei. Senonché, se è certo che a promuovere l’azione debba essere un consumatore anche attraverso associazioni di categoria, è controverso chi sia il consumatore in base e per gli effetti dell’articolo 140 bis. Inoltre, mentre la norma elenca i diritti tutelabili, si discute se il suo raggio di operatività possa essere esteso. Ancora, se non è dubbio che attraverso la class action il legislatore intende introdurre uno strumento processuale a tutela di una classe omogenea di diritti lesi, ci si domanda se l’articolo 140 bis possa essere invocato anche per il ristoro di pregiudizi differenziati.
oggi sono state promosse 12 azioni. Di queste, una è stata dichiarata inammissibile e un’altra, superato il filtro dell’ammissibilità, è attualmente in corso (fonte: http://www.osservatorioantitrust.eu). In entrambe le vicende, esaminate rispettivamente dal giudice di Torino e Milano, sono stati affrontati alcuni snodi problematici dell’istituto, in particolare quelli relativi alla legittimazione attiva.
Anzitutto, il giudice – dopo aver confermato che a proporre l’azione può essere ciascun consumatore, in quanto componente della classe e titolare dei diritti che con l’azione di classe si intendono tutelare – ha precisato che, ai fini della legittimazione ad agire, è consumatore la persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale. Da questo punto di vista, il giudice non ha spostato gli assi di riferimento del Codice del consumo, ribadendo che l’azione di classe tutela la parte debole non in sé, ma nella misura in cui in tale situazione versi un consumatore/utente che operi prevalentemente al di fuori della propria sfera professionale.
In concreto, ciò significa che potrà proporre l’azione, oltre al consumatore-persona fisica, anche il professionista che intrattenga un rapporto di consumo al di fuori del quadro delle proprie attività professionali. Ove dunque un contratto venga posto in essere per uno scopo non connesso all’esercizio dell’attività professionale, esso potrà essere sindacato, se del caso, anche attraverso l’azione di classe perché concluso nella qualità di consumatore. Se invece un contratto risulti riconducibile a un’attività promiscua e come tale in parte riferibile alla qualità di consumatore e in parte riferibile alla qualità di professionista, il suo contenuto sarà contestabile in base all’articolo 140 bis, sempre che ricorrano le condizioni di applicabilità della norma, solo se la sua utilizzazione/destinazione per fini legati all’esercizio della professione risulti occasionale, marginale, anzi residuale. Per superare la qualifica professionale e affermare la qualità di consumatore in capo all’attore, si tratterà di verificare la destinazione del contratto o del prodotto alla base della violazione assunta, che non dovrà essere strumento per l’esercizio dell’attività professionale.
Il giudice ha poi colto l’occasione per avvertire che il preponente deve vantare un interesse ad agire e che il suo interesse deve coincidere con quello della classe. Proprio perché chi promuove l’azione è anzitutto portatore del medesimo diritto individuale, occorre che le pretese siano sostanzialmente assimilabili e ogni persona sia titolare del diritto che si assume leso. In mancanza di un interesse concreto e attuale del promotore in ragione della mancanza di una lesione del suo diritto, l’azione risulta inammissibile
20 marzo 2011 ilsole24ore.com