ASOLO – Pascoli d’oro: le presunte condotte fuorilegge che -secondo gli inquirenti- avrebbero permesso a una decina di aziende (quelle indagate nel filone “madre” trevigiano, ma ce ne sono tante altre che attendono l’esito del processo) di ottenere indebitamente i finanziamenti dell’Unione europea sui “bovini” maschi, si baserebbe su una alcuni colossali equivoci.
A sostenerlo, sfogliando le leggi e valutando il parere della Corte Europea, come espressamente richiesto dai giudici di Treviso, è Vitaliano Danesin, giurista d’impresa per gli allevatori (in particolare il Gruppo Rech che è forse il numero uno in Italia) ed ex funzionario della Regione Veneto.
«I giudici trevigiani -afferma- si sono dimostrati scrupolosi e, anche recentemente, si sono presi tempo per studiare il parere della Corte Europea e i decreti del Ministero delle politiche agricole prima di emettere la sentenza». Non lo dice Danesin, ma il riferimento è chiaro sia al pronunciamento della Corte dei Conti, che ha condannato gli allevatori a restituire sei milioni di presunti contributi incassati illecitamente, ma anche alla richiesta di condanna formulata dal pm Barbara Sabbatini. Il motivo? «Entrambe -precisa- si sono appiattite sulle conclusioni del carabinieri del Nac di Parma (Nucleo antifrodi comunitarie) secondo i quali il diritto alla richiesta di contributo matura solo con il possesso dei terreni nei quali si portano al pascolo gli animali. Ciò determinerebbe l’illecito in quanto gli allevatori hanno chiesto il contributo sui tori maschi anche su terreni semplicemente condotti o utilizzati. Ma la realtà -puntualizza Danesin- è un’altra. Sia il decreto Zaia dell’11 febbraio 2009 che l’interpretazione dei giudici della Corte europea non fanno distinzione tra terreno posseduto o condotto. In entrambi i casi c’è il diritto a chiedere il contributo».
Oltre alle questioni tecnico-giuridiche ci sono anche temi economici di grandissima attualità. «Va detto -chiarisce Danesin- che le parti civili, in questo caso Avepa, i soldi dei contributi europei se li sono trattenuti dagli allevatori per compensazione. Si tratta di denari che l’Unione europea ha stanziato per aiutare gli allevatori e non per ingrassare la macchina burocratica. Soldi che mancano ai bilanci delle imprese agricole che così rischiano di collassare con danni enormi per l’economia nazionale. E che gli allevatori hanno chiesto e ottenuto in modo lecito e che stanno attendendo di incassare da 6 anni da quando, nel 2005, venne avviata l’inchiesta penale».
In attesa della sentenza, attesa per fine marzo, il consulente degli allevatori Bruno Nascimbene cita la sentenza della Corte di giustizia che “non subordina la concessione del premio speciale per bovini maschi né la domanda di aiuto che a un valido titolo giuridico di conduzione”. Requisito del tutto rispettato dagli allevatori. A dimostralo ci sono i trasferimenti sui pascoli veneti e friulani dei bovini, ma anche il loro rientro (oltre allo sfalcio). La prova? «Gli atti previsti dalla legge e firmati -conclude Danesin- dai sindaci e dai veterinari delle Usl».
IL Gazzettino – 27 Febbraio 2011