Coro di proteste dopo la scelta della Regione di abolire le graduatorie Calabrò: deciderà il direttore generale
Dopo la soppressione delle norme che vincolavano i direttori generali della Asl a criteri strettamente meritocratici per la nomina dei primari ospedalieri, ci si interroga sull’identità del vero ispiratore di quella che si può definire una vera e propria controriforma» operata dal centrodestra attraverso la finanziaria, approvata lunedì scorso.
Non vi è dubbio che la responsabilità formale e politica della nuova normativa, che elimina la graduatoria degli aspiranti primari, elaborata in base a punteggi assegnati per titoli ed esami, sia del governatore Stefano Caldoro che ha blindato la manovra attraverso la richiesta di fiducia, vanificando così qualsiasi possibilità di modifica da parte dell’aula. Del resto, durante la seduta di lunedì lo stesso governatore ha più volte sottolineato la sostanziale identità di vedute tra il governo e la maggioranza regionali. Ma, a ben guardare, la volontà di ritornare a un sistema maggiormente discrezionale di nomina, preesisteva anche all’iniziativa di Caldoro che, dunque, non avrebbe fatto altro che recepirla, fatta sua, non rinunciando, tuttavia, ad apportare qualche modifica. Se si esamina, infatti, il testo del subemendamento definitivo, licenziato dalla commissione Bilancio, si ritrova, non senza difficoltà, al comma 22 dell’articolo 5, la previsione della cancellazione tout court della legge regionale 3 del marzo 2006, quella, per intendersi, che ha momentaneamente sottratto alla politica il potere di nomina dei responsabili dei reparti.
Va ricordato che il testo attuale si limita a imporre ai manager di scegliere i primari attingendo a una rosa di tre candidati. Spiega la ratio del nuovo ordinamento il senatore Raffaele Calabrò, che, tuttavia, pur essendo il consulente di Caldoro per le questioni della sanità, pare non abbia partecipato alla stesura dell’emendamento. Il parlamentare del Pdl si limita dunque a un’osservazione di carattere generale. «È evidente — afferma — che la scelta dei primari diventa più discrezionale di quanto non lo fosse in precedenza, quando si doveva tener conto del giudizio della commissione di valutazione tecnica. La scelta torna al direttore generale che, come avviene in tutta Italia, può disporre di una rosa di candidati di qualità, nella quale scegliere il profilo professionale più adatto al conseguimento degli obiettivi aziendali. Oggi la medicina diventa sempre più specialistica. Il nuovo criterio di scelta, dunque, consente la possibilità di dare un indirizzo più specifico a un determinato settore. In sintesi, il contrappeso della maggiore discrezionalità è la maggiore responsabilizzazione dei manager».
La spiegazione non chiarisce il quesito di fondo su chi abbia realmente ispirato il ritorno al passato. Oltre alle proteste dell’opposizione, la cronaca registra anche i giudizi di autorevoli operatori della Sanità. Negativo quello di Maria Triassi, direttore della scuola di Igiene della facoltà di Medicina dell’Università Federico II. «Il provvedimento non valorizza la meritocrazia; la legge regionale aveva comunque fatto fare un passo avanti verso il merito. Si torna alla normativa nazionale che dà ampio margine di discrezionalità. Tra due concorrenti può essere scelto quello meno titolato» . Contrario anche il segretario regionale dell’Anao Bruno Zuccarelli. Che spiega: «Prima di abrogare la riforma del 2006, sarebbe stato meglio sperimentarne l’attuazione. Così invece si ritorna alla normativa del 1994 che ha mostrato molti limiti» . Nettamente più possibilista il presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli Gabriele Peperoni. «Non vorrei — commenta — che il cittadino campano capisse che i primari possano essere scelti per strada e messi in un certo posto solo per il favore politico. Esiste, infatti, una legge nazionale che prevede per per partecipare a un concorso per primario occorrono determinati requisiti» .
Corriere del Mezzogiorno – 3 marzo 2011