Federalimentare: concreto il rischio che il settore superi l’inflazione media IL CASO I contratti di fornitura di latte prevedono balzi nei valori fino al 20% rispetto al 2010 Merlo (Ad Mauri): «Spazi esauriti per i margini»
Sale la febbre dei prezzi alimentari e Bruxelles reagisce sospendendo, fino al prossimo giugno, i dazi per orzo e frumento di bassa e media qualità. Il tratto di penna sui dazi serve a raffreddare i listini in attesa che la fiammata speculativa sulle materie prime agro-alimentari si esaurisca. La decisione di ieri segue la proposta dello scorso 3 febbraio del commissario Michel Barnier che migliora la trasparenza e l’affidabilità dei prodotti derivati sulle materie prime agricole, anche ponendo dei limiti alle posizioni degli operatori.
Intanto a dicembre il colpo di acceleratore dei prezzi alimentari alla produzione in Italia ha segnato un +4,1% su base annuale. «Significa – secondo Luigi Pelliccia, direttore dell’ufficio studi di Federalimentare – che l’inflazione alimentare è destinata a crescere: col rischio, dopo una fase di stabilizzazione e poi di inseguimento dell’inflazione generale, di superarla nei prossimi mesi». E questo quadro nefasto potrebbe realmente concretizzarsi se la spirale dei prezzi, partendo dalle materie prime, continuerà a scaricarsi lungo la filiera alimentare fino al consumo.
Per esempio, in dicembre, secondo le rilevazioni di SymphonyIriGroup, i listini del largo consumo sono cresciuti dello 0,3%, dopo 16 mesi di deflazione. A trainare i prezzi sono stati ortofrutta (+6,1%), fresco (+1,2%) e drogheria (+0,3%). In questa settimana, invece, il termometro dei prezzi del latte sembrava esplodere: dopo i contratti di fornitura firmati da alcuni big industriali del lattiero caseario il prezzo medio al litro è infatti schizzato vero i 39-40 centesimi al litro, il 15-20% in più di un anno fa e non molto distante dal picco di 4,20 segnato nella fiammata speculativa del 2007.
In dettaglio meno di un anno fa, nel marzo del 2010, il prezzo medio stazionava a 33,156 al litro mentre oggi il gigante Italatte (che gestisce Galbani, Invernizzi e Cademartori) ha sottoscritto un contratto di fornitura con Coldiretti e Cia per 39 centesimi/litro fino a giugno e per 40,2 centesimi da luglio a settembre 2011; l’altro big del comparto Granarolo, attraverso la controllata cooperativa Granlatte, ha riconosciuto ai produttori acconti sul 2011 a partire da un prezzo di riferimento di 38,50: il saldo eventualmente arriverà a fine anno.
«Il prezzo minimo fissato – spiega Nino Andena, vice presidente di Coldiretti – è il riferimento per tutto il mercato ed è la “quadra” di un mercato che si muove a due velocità: quello dei produttori di Grana padano e Parmigiano reggiano e quello dei produttori di formaggi molli. I primi pagheranno certamente di più».
Troppo il +20%? «I prezzi – interviene Andrea Breveglieri, direttore generale di Granlatte – recepiscono una forte pressione internazionale delle materie prime. Speculazione lungo la filiera? Non so. Certo è che se qualche paese produttore blocca l’export inevitabilmente influenza i prezzi».
Nicoletta Merlo, ad della Mauri e membro del direttivo Assolatte, ritiene invece sproporzionato il balzo del prezzo del latte rispetto all’evoluzione delle commodity. «Mi sembra una follia – sostiene l’imprenditrice – così massacriamo il consumatore: le imprese non possono tenere in pancia neanche una parte di questi aumenti, non ci sono più i margini». Poi si sofferma sui 40 centesimi/litro riconosciuti oggi agli allevatori a cui vanno aggiunti 1,5 centesimi dell’Iva e 2-3 centesimi di aiuti europei provenienti dalla Pac: fanno 43,5-44,5 centesimi/litro, «prezzo decisamente superiore ai 33 del costo di produzione in Francia e Germania, paesi più simili a noi» conclude Merlo. «In questi mesi – oppone invece Andena – è cambiato il mercato europeo: i prezzi dei cereali sono saliti del 30-40% e così tutti i fattori della produzione, compresi i costi dei terreni. Non ci credete? Provate ad acquistare un litro di latte spot: lo pagherete non meno di 42-43 centesimi».
Intanto nel preconsuntivo dell’industria alimentare italiana si manifesta la ripresa con un +1,6% della produzione (-1,5% nel 2009). «É un buon recupero – conclude Pelliccia – anche se dicembre ha raffreddato il +2% dei mesi precedenti». Meglio l’export che dovrebbe mantenere la performance del +10% dei primi dieci mesi.
Ilsole24ore.com
21 febbraio 2011