Italia non ha mai sforato le quote latte imposte dalla Comunità Europea. Le multe da stangata definitiva a migliaia di allevatori sono quindi ingiuste.
È la clamorosa conclusione a cui è giunta la commissione istituita dall’ex ministro dell’agricoltura Zaia, che lo scorso aprile ha depositato al ministero questo risultato, protocollato dallo stesso Zaia proprio nell’ultimo giorno del suo incarico a Roma.
A ribadire il risultato, passato quasi sotto silenzio, è il presidente dei Co.s.p.a. vicentini Mauro Giaretta, storico promotore della protesta degli allevatori contro le multe.
“Di questi dati non si sta tenendo affatto conto – avverte però Giaretta – e se a inizio anno partiranno le cartelle esattoriali per gli allevatori multati, per la maggior parte di loro sarà la chiusura”.
Andiamo con ordine. Può riassumere a grandi tappe la questione?
Le quote latte sono state istituite nell’83. Il tetto di produzione assegnato all’Italia dall’Europa era già in partenza molto esiguo rispetto ad altri paesi. La Danimarca produce il quadruplo del latte che consuma, e in tutti gli stati comunitari le quote concesse superano il fabbisogno nazionale. Invece la produzione italiana copre circa il 55% del nostro fabbisogno. Dobbiamo importare quasi la metà del latte che utilizziamo.
Di chi fu la responsabilità allora?
Soprattutto dei politici che hanno ceduto su questo fronte per ottenere di più su altri, soprattutto sull’acciaio. Ma oltre a questa decisione così punitiva in partenza, a colpire le aziende italiane è stata da sempre la mancanza di conteggi seri della capacità produttiva italiana. I dati passati alla Comunità europea erano basati su autocertificazioni dei caseifici e basta, senza riferirsi direttamente agli allevatori. Si pensi che l’ultimo censimento puntuale delle bestie da latte è del 1937. Da allora ci si è basati su dati Istat, proiezioni statistiche risultate errate. Questo ha permesso frodi estese e colossali. Nell’83 le quote furono assegnate gratuitamente a chi risultava titolare di stalle. Ma poi, molti che hanno chiuso hanno continuato ad essere assegnatari, senza diritto. Così vendevano o affittavano le quote che a loro non servivano. Il fenomeno continua tuttora. Ed è un enorme mercato. Si pensi che negli anni 90, ma anche oggi, le quote latte sono arrivate a costare 5 o 6 volte il ricavato della vendita del latte relativo. Molti allevatori, costretti, le acquistano o le affittano lo stesso, facendo mutui e sperando che la situazione migliori, per esempio con l’aumento del prezzo del latte. Ma si tratta di operazioni economicamente disperate.
Che punte ha avuto questo fenomeno?
La commissione Zaia ha scoperto dichiarazioni di grandi stalle, con quote relative, site in piazza Navona a Roma. Oppure aziende con 70.000 vacche dichiarate in Trentino (in Italia non ne esistono di queste dimensioni). Poi i Carabinieri sono andati a vedere all’indirizzo, e le bestie erano quindici. Il bello è che il proprietario non era al corrente di nulla. Qualcuno aveva fatto la dichiarazione a nome suo, intascando le quote. Senza contare le truffe alimentari del latte in polvere importato dall’estero e poi rivenduto come latte liquido, da chi aveva quote senza avere una vacca.
In base a questa commissione ministeriale, quindi, l’Italia non ha mai sforato le quote…
Esatto. Noi lo sapevamo già, la commissione lo ha accertato. La produzione nazionale dichiarata era assai superiore a quella reale, che è sempre stata inferiore al 95% (probabilmente anche di più) del tetto massimo consentito da Bruxelles. Un altro lato esasperante di tutta questa vicenda è che chiamate a pagare le multe per tutti sono solo 2.000 aziende su circa 10.000, in base ad alcuni farraginosi meccanismi.
E adesso?
I Carabinieri hanno consegnato questi dati alla Magistratura e 63 Procure della Repubblica hanno aperto un’inchiesta, compresa quella di Vicenza. Per molti di noi questa inchiesta è l’ultima, urgente speranza.
Corriere Vicentino – 8 febbraio 2011