Le quote dovute agli Ordini professionali hanno natura di tassa, quindi le relative liti devono essere devolute alla giurisdizione tributaria. Così si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1782 depositata lo scorso 26 gennaio 2011.
Investita di un ricorso per regolamento di giurisdizione, la Corte ha dichiarato la giurisdizione tributaria con riferimento ad una causa originata dal ricorso promosso, dinanzi al Giudice di Pace, da parte di alcuni avvocati che contestavano l’atto del Consiglio Nazionale Forense con il quale era stato deciso di richiedere a tutti gli avvocati il contributo di cui all’art. 14 del D.Lgs. Lgt. n. 382 del 1944 (Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali).
Detto contributo, ha precisato la Corte, ha la stessa natura e le stesse caratteristiche della tassa di cui all’art. 7 del medesimo decreto, ove è espressamente previsto che il Consiglio dell’Ordine può stabilire una tassa annuale per l’iscrizione nel registro dei praticanti e per l’iscrizione all’albo.
Riemerge, dunque, la vecchia (e a dire il vero mai risolta) questione sull’esatto concetto di tributo, concetto che, come visto, a volte non ha rilievo solo teorico: se l’entrata non è un tributo, non sussiste la giurisdizione tributaria, quindi sarebbe magari stato corretto adire il Giudice di Pace.
I giudici evidenziano che il Consiglio dell’Ordine è, a questi fini, ente impositore, sicché l’iscritto non ha alcuna scelta in ordine alla possibilità di corrispondere la tassa, che si configura “come una quota associativa rispetto ad un ente ad appartenenza necessaria, in quanto l’iscrizione all’Albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della professione”.
La “doverosità della prestazione” è l’elemento che caratterizza il tributo, il cui importo prescinde dal costo del servizio reso, e si pone al di fuori di un qualsivoglia tipo di rapporto sinallagmatico.
In conclusione, la Cassazione, con una sentenza lodevole per la sinteticità e la chiarezza dell’esposizione, afferma che la prestazione imposta (pagamento della quota) è collegata ad una spesa pubblica riferita ad un presupposto economicamente rilevante, presupposto costituito dal legittimo esercizio della professione, per il quale occorre l’iscrizione all’albo.
Si ricorda che alle stesse conclusioni era giunta la giurisprudenza di merito per la tassa di iscrizione al registro praticanti avvocati (C.T. Reg. Roma 9 aprile 2008 n. 35), mentre la Cassazione in passato si era espressa in senso diverso, sebbene in via incidentale, sostenendo che contributi dovuti per l’iscrizione all’albo dei biologi non rientravano nella nozione di “imposte e tasse” (Cass. SS.UU. 15 ottobre 2008 n. 25175).
Fonte: Fnovi – 27.01.2011