Rivolta contro il «collegato lavoro»: scaduto il termine per poter contestare eventuali licenziamenti illegittimi. Da oggi, quindi, si perde ogni diritto per una norma retroattiva, che vale anche per tutti i contratti in essere e naturalmente per quelli futuri
MILANO – Allo scoccare della mezzanotte si è perso l’ultimo treno. O almeno, la deadline del 23 gennaio imposta dalle legge 183/2010 – meglio conosciuta come «collegato-lavoro» – pretendeva di operare una scelta, netta, senza ritorno (e con il rischio di inimicarsi l’azienda o l’ente pubblico per il quale si presta la propria opera): impugnare o meno l’eventuale licenziamento irregolare o il mancato rinnovo contrattuale. E i dati – diffusi dalle principali sigle sindacali del Paese – testimoniano che i «precari» hanno fatto fronte comune contro una legge che il Tribunale di Trani ha ritenuto di dover sollevare il giudizio di costituzionalità.
IL COLLEGATO LAVORO – In attesa del responso della Consulta, quali sono i motivi che hanno originato questa levata di scudi contro la legge 183/2010 (collegata alla manovra di finanza pubblica 2009-2013)? Innanzitutto proprio i tempi d’impugnazione, accorciati a due mesi, per poter contestare eventuali licenziamenti ritenuti «illegittimi». E il termine è scaduto proprio ieri (la legge era entrata in vigore il 24 novembre, ndr.). Da oggi, quindi, si perde ogni diritto per una norma retroattiva, che vale anche per tutti i contratti in essere e naturalmente per quelli futuri. Ma nel mirino è finita anche la disposizione che riduce l’ammontare del risarcimento per il lavoratore assunto illecitamente con un contratto a termine (nell’ordinanza il giudice di Trani ritiene si sia calpestato il principio di uguaglianza dell’articolo 3 della Costituzione). Una norma «tagliola», l’ha bollata la Cgil, tale da determinare una sanatoria al rovescio, «perché tanti precari – si legge in una nota del sindacato – non verranno a sapere in tempo che i termini sono cambiati», e un’impennata del contenzioso, «l’esatto contrario di quanto il governo dichiara di voler perseguire» con l’allargamento del ricorso all’arbitrato. Mentre Giorgio Santini, segretario generale aggiunto Cisl, ritiene che «sia stata messa in atto un’informazione capillare in tempi stretti, che certamente ha fatto aumentare del 20% i ricorsi rispetto alla media». Ma al netto delle contrapposizioni, si tratta di una legge che si pone la finalità di «riorganizzare gli enti, modificare la disciplina dei congedi, delle aspettative e dei permessi e adottare misure contro il lavoro sommerso».
LE NOVITA’ – Eccone alcune.
1) La mobilità: «in caso di conferimento di funzioni statali ad altri enti – si legge in Gazzetta Ufficiale – si applica l’articolo che regolamenta il tema delle eccedenze di personale». Che impone come limite massimo tre anni, al termine dei quali, in assenza di riassorbimento all’interno di un’altra amministrazione scatta il licenziamento.
2) Il part-time: aumenta il potere discrezionale delle amministrazioni. In particolare entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge, possono ridiscutere tutti i part-time già concessi.
3) Pensionamento a 70 anni: è prevista la possibilità per i medici pubblici e i dirigenti sanitari di andare in pensione, su propria istanza, a 70 anni di età (è stata cancellata la possibilità di restare in servizio al massimo fino a 67 anni di età).
4) Conciliazione: è cancellata l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione nelle controversie e il prestatore di lavoro può decidere se ricorrere all’arbitrato preventivamente.
5) Legge 104: per l’assistenza ai portatori di handicap il collegato-lavoro ha stabilito che – salvo per i figli in condizione di handicap grave – il diritto ai permessi è riconosciuta a una sola persona.
6) I potenziali interessati – E’ la stessa Cgil a quantificarli tra i 100mila e i 150mila in tutta Italia. Di certo riguarda moltissimi lavoratori – spesso non «contrattualizzati» a tempo indeterminato – ma in particolare medici, insegnanti, amministrativi nel pubblico impiego e nel privato, dipendenti Rai (e nel campo della comunicazione) e delle Poste.
Corriere.it – 25 gennaio 2011