Un esperto Usa: cercano il «capobranco». Critiche dai liberal e dai dog trainer comportamentisti
Cesar Millan, teorico dell’educazione forte e protagonista di «The dog whisperer» (Reuters)
Se il vostro cane si comporta male (anzi, niente se; il vostro cane si comporta male varie volte al giorno, esattamente come voi) e i vostri tentativi di convincerlo a un approccio più urbano tramite lodi e biscotti non funzionano, potreste provare la strategia di Cesar Millan. Andate dal cane, e cominciate a ringhiare (sì, avete letto bene: voi al cane); poi rovesciate il cane a pancia all’aria, e lo guardate negli occhi con indignazione. Secondo il profeta del revisionismo nell’addestramento canino, nemico del permissivismo imperante e della pseudo-educazione a colpi di complimenti e premi, è una tecnica cruciale per affermare la propria superiorità sull’animale e per imporsi come capobranco.
Se si limitasse al ringhio eccetera, sarebbe forse un punto di vista folkloristico e, per molti cinofili, accettabile. Ma la linea Millan – addestratore ora molto popolare in America, autore di bestseller, conduttore del programma tv Dog Whisperer, «l’uomo che sussurra ai cani» – ha connotati neo-autoritari. Secondo la rivista online (e liberal) Slate è «l’ultima offensiva nelle guerre culturali canine». Contro l’attuale permissivismo comportamentista, per una riaffermazione della superiorità umana. Millan, cinquantenne brizzolato che si fa fotografare con occhiali a specchio da bodyguard, parla come un ideologo neoconservatore: «Siamo in una situazione estrema e poco sana, in cui gli animali vengono considerati nostri pari e nostri partner in ogni campo della vita». Meglio ringhiargli un po’, che non si mettano grilli nelle loro teste canine.
Gli addestratori comportamentisti detestano Millan. Lo accusano di brutalità: Millan consiglia, in certi casi, di picchiare i cani con il guinzaglio o di tirarli per il collare. I seguaci di Millan controbattono: la sua tecnica è basata sull’«energia calma e assertiva», sul contatto visivo e sonoro, sulla psicologia sportiva. Il Millan-pensiero raccoglie qualche consenso bipartisan: lo ammirano la conduttrice di talk show e sponsor di Obama Oprah Winfrey e il saggista Malcolm Gladwell, che sul New Yorker ha scritto un suo ritratto elogiativo descrivendolo mentre addestra cani, lo paragona a un ballerino.
E gli esperti di questioni canine enunciano una teoria dei corsi e ricorsi nell’addestramento, spesso paralleli alle correnti di pensiero sull’educazione dei bambini. Da una fase autoritaria, si è passati a una fase permissiva nel caso dei cani, con vent’anni di ritardo sul dottor Spock, negli anni Ottanta del secolo scorso. E ora c’è un movimento per la riaffermazione dell’autorità umana, nei confronti dei cani. «I vostri cani vi chiedono di imporvi come capobranco», predica Millan. «Dovete conquistare la fiducia e la lealtà dei vostri cani, e la otterrete dando regole e limiti». Magari. Anche se i metodi brutali non sembrano più accettabili, per la maggior parte degli addestratori, e degli umani che vivono con dei cani. “Umani”, anche se è un termine sgangherato: la parola “padroni” a molti di noi fa orrore. E poi: la diversa condizione umana e canina è chiara a tutti. Ma rinnovare l’enfasi sull’inferiorità del cane e sulla disciplina brutale porta rischi: può legittimare maltrattamenti e comportamenti aggressivi di umani frustrati. Soprattutto: nelle società occidentali, con buona pace di Millan, i cani sono veri compagni di vita, e non i peggiori. Certo, sarebbe bello trovare una terza via per farli comportare meglio, si ringhierebbe anche volentieri, per arrivarci oggi ci abbiamo provato in tre, con i rispettivi cani; i cani l’hanno trovato divertentissimo, giustamente.
Corriere.it – MARIA LAURA RODOTA’ – 31 dicembre 2010