28 dicembre 2010 – Incertezza delle imprese e dei consumatori sulla messa al bando dei sacchetti di plastica per la spesa. Il cosiddetto “milleproroghe” non sembra parlare della questione dei sacchetti non biodegradabili, lasciando in sospeso la messa al bando che in teoria dovrebbe partire dal 1° gennaio.
Non ci sono i decreti applicativi, non le norme tecniche. Non le sanzioni. Non c’è alcun criterio per stabilire che cosa è biodegradabile e che cosa no: dal punto di vista tecnico, perfino il sacchetto di plastica è biodegradabile, ma con tempi decisamente lunghi. Non ci sono state le sperimentazioni per le quali era stato stanziato un miliardo di euro. Ci sono dubbi sui sacchetti d’importazione, come aveva detto anche l’Unione europea quando aveva bocciato una normativa simile introdotta dalla Francia.
Così negozianti, consumatori e produttori di sacchetti di plastica e di carta sono incerti su quello che potrà accadere la settimana prossima. Che cosa faranno i supermercati? Come consegneranno i prodotti i farmacisti, i lattai, i fruttivendoli e tutti gli altri negozianti?
Potrebbe essere un cambiamento forte nelle abitudini di tutti gli italiani. Oppure potrebbe non accadere niente. I vantaggi per l’ambiente sono altrettanto ambigui: secondo le ricerche condotte in Francia, i sacchetti biodegradabili hanno il vantaggio che si dissolvono senza lasciare traccia, mentre quelli di plastica tradizionale hanno il vantaggio di essere inerti e stabili, senza rilasciare nulla nell’ambiente. Però quando sono gettati senza criterio sono orrendi, e in mare possono nuocere ai cetacei come delfini, orche e balene, che li scambiano per cibo.
Se non ci saranno i sacchetti di plastica della spesa – questo è certo – i cittadini avranno una risorsa in meno per racchiudere la spazzatura, uno dei modi più comuni di riusarli. Invece di ricorrere al riuso, compreranno al supermercato i sacchetti neri da immondizia, che sono usa-e-getta. I sacchetti biodegradabili (di carta o delle tecnoplastiche come il mater bi, un ritrovato tutto italiano che piace nel mondo) non si prestano all’immondizia generica, poiché si rompono e si aprono con facilità, soprattutto se piove.
Quattro anni fa, governo Prodi, il parlamento aveva deciso dal 2010 il divieto progressivo di usare i sacchi per “l’asporto di merci” di materiale non biodegradabile. La transizione sarebbe anticipata da decreti attuativi (mai decretati). Così nel dicembre 2009 si decise di rimandare di un anno una norma inapplicabile. Inapplicabile un anno fa, e inapplicabile oggi.
Secondo la Federazione gomma plastica, che raccoglie i produttori di manufatti come i sacchetti, in Italia si usano “shopper” per 200mila tonnellate, con un fatturato sugli 800 milioni di euro e 4mila dipendenti impegnati in un centinaio di fabbriche.
I sacchetti di plastica «vantano quantità riciclate pari a circa 65mila tonnellate» e – osservano i produttori – i costi stimati per cambiare i macchinari e adeguarli alla plastica biodegradabile «sono mediamente pari a 30-50mila euro per impianto, in relazione alla dimensione».
Perplesse anche le catene di supermercati, come fa osservare la Federdistribuzione, che ricorda come «in questo quadro di riferimento confuso appare irrealistica l’abolizione dei sacchetti di plastica dall’inizio del prossimo anno, senza che questa decisione generi caos e si rifletta in minor servizio al consumatore». Le catene di supermercati, sia chiaro, sono prontissime a cambiare il tipo di sacchetti, come fanno già alcuni colossi, ma chiedono certezza per sé, per i loro fornitori e soprattutto per i clienti.
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