Editoriale di Cesare Fassari
Il 15 dicembre 2009, Ferruccio Fazio giurava da ministro della Salute. Un anniversario in sordina, complice il contestuale voto di fiducia al Governo. Anche per questo abbiamo pensato di dedicargli questo ritratto, a partire dalla sua mission d’eccellenza: tenere in forma il nostro Ssn. Perché il sistema, come lui stesso dice, ha bisogno di “manutenzione”.
Esattamente un anno fa, era il 15 dicembre 2009, il presidente della Repubblica testimoniava il giuramento di Ferruccio Fazio a Ministro della Salute. Per il già sottosegretario del mega ministero del Welfare, iniziava così una nuova avventura politica in coincidenza con il ripristino dell’autonomia del dicastero di Lungotevere a Ripa. Un’autonomia voluta da tutti e che, anche se non è mai stato detto ufficialmente, interrompeva di fatto, almeno per la sanità, il cammino verso quel Welfare delle opportunità e dell’universalismo selettivo ipotizzato nel Libro Bianco del ministro Sacconi, presentato alla stampa solo pochi mesi prima della ripristinata autosufficienza del ministero della Salute.
Infatti, anche se è impossibile trovare dichiarazioni di Fazio contrarie a quell’impostazione, l’approccio che il neo ministro manifesta verso il Ssn appare subito fuori linea rispetto alle visioni social-liberiste di Sacconi permeate di pessimismo profondo verso la possibilità di tenuta degli asset pubblici.
Al contrario, per il neo ministro della Salute il Ssn è una certezza e un valore da non mettere in discussione. Intendiamoci, non siamo di fronte a un paladino ideologico della sanità pubblica. Piuttosto la sua visione è quella che accomuna i grandi medici che lavorano in quelle splendide strutture private accreditate lombarde di qualità superiore come il San Raffaele di Don Verzé (dove è di casa il ministro) ma anche l’Istituto europeo di oncologia di Veronesi.
Un privato serio, autorevole che opera con il servizio sanitario pubblico indipendentemente da chi governa in quel momento. Da Milano a Bari. Da Formigoni a Vendola. Nel nome dell’efficienza e del giusto profitto da reinvestire in ricerca e qualità.
In questo contesto Fazio non ha difficoltà ad affermare che la sanità italiana funziona. O a lanciare sul piatto frasi secche di estrema concretezza e spirito pratico, tipo: “Se la sanità è buona non bado alle formule, mi interessano i risultati. Sono l’unica cosa importante”. La stessa cultura ed esperienza che gli fa dire che la nostra sanità ha ottimi indici di performance e che è la soluzione migliore per rispondere al dettato costituzionale sul diritto alla salute.
Certo, le cose che non vanno sono molte, ma si tratta di quelle criticità note, già messe in evidenza da tempo e sulle quali possiamo trovare una sostanziale e maggioritaria condivisione tra gli addetti ai lavori.
In particolare due le storture che Fazio denuncia con più insistenza: le differenze inaccettabili tra Nord e Sud e l’ancora troppo lenta trasformazione dell’impianto ospedalocentrico del sistema, in favore di una affermazione definitiva della medicina territoriale.
Su queste basi l’opera di Fazio ha via via assunto una precisa fisionomia che lui stesso ci aiuta a caratterizzare quando, più volte e in più occasioni, ha dichiarato la necessità di un’opera costante di “manutenzione” per la sanità italiana.
E va dato atto al ministro che nei suoi primi dodici mesi di attività l’opera l’ha senz’altro avviata con molti e specifici provvedimenti, divenuti poi intese Stato Regioni o disegni di legge del Governo, che, pezzo per pezzo, individuano le aree più sensibili al bisogno di ammodernamento del sistema.
Piano sanitario nazionale, punti nascita, liste d’attesa, libera professione, sperimentazioni cliniche, riordino degli Ordini professionali, sicurezza delle cure, per citare alcuni dei progetti messi in campo in questo, tutto sommato, breve arco di tempo.
Con un unico neo, individuabile nella scarsa capacità di incidere sulla grande questione della sostenibilità finanziaria del sistema sanitario, soprattutto in questa fase di vigilia del federalismo fiscale.
D’altra parte, forse anche per il fatto di restare comunque un medico prestato alla politica, Fazio non sembra così addolorato dello “scippo” delle competenze sull’economia sanitaria in favore di Tremonti e, conseguentemente, così interessato al ruolo di negoziatore della partita economica con le rissose regioni italiane. Un ruolo che, ci permettiamo di osservare, il nostro appare quasi sollevato di aver dovuto lasciare nelle mani del Ministro dell’Economia.
Quotidianosanita.it
21 dicembre 2010