Se uno dovesse giudicare l’Italia dagli articoli che appaiono sulla stampa estera, ne avrebbe una visione terribile. Gli scandali sessuali rappresentano (triste a dirsi) l’aspetto più innocente. Quando i nostri ministri non sono accusati di ricevere tangenti, gli ex ministri sono condannati per mafia. Scandali che in altri paesi distruggerebbero la carriera del personaggio politico più rispettabile, vengono ignorati. La corruzione non viene più percepita come una degenerazione, ma come la norma. Il Paese sembra aver perso perfino la forza di indignarsi. Quale futuro ci attende? Per fortuna, la situazione non è così bieca. Se l’Italia vista dall’America può sembrare un paese moralmente sottosviluppato, non lo è in un contesto storico. Gli stessi Stati Uniti, che oggi si ergono come esempio di moralità, agli inizi del Ventesimo secolo erano più corrotti dell’Italia. La polizia era un feudo dei partiti. I senatori erano al soldo dei grossi industriali come Rockefeller e la corruzione dilagava. Migliorare è possibile. Per capire come farlo è necessario imparare dai successi altrui. Come hanno fatto gli Stati Uniti ad emergere dalla corruzione imperante agli inizi del secolo scorso? La risposta è semplice: attraverso l’uso politico (non partitico) degli scandali. Il problema fondamentale di ogni democrazia è che la maggior parte degli elettori non è informata. Informarsi richiede tempo e il tempo è denaro. Per l’elettore medio il costo di diventare informato eccede il beneficio che ne può ricavare attraverso un voto informato. Il risultato è che la stragrande maggioranza dei cittadini rimane ignorante sulle decisioni politiche fondamentali. Questa ignoranza favorisce la corruzione: i politici prendono decisioni nell’interesse loro e dei loro finanziatori, non della maggioranza. L’unico antidoto a questa triste situazione è rappresentato dai mass media. I media hanno la capacità di trasformare anche l’argomento più noioso in intrattenimento e così facendo educano gli elettori, spesso a loro stessa insaputa. Il film documentario di Al Gore ha fatto di più per la causa dell’ambiente che mezzo secolo di campagne dei Verdi. Negli Stati Uniti del primo Novecento questo ruolo di sensibilizzazione non veniva svolto dai film documentari, ma dai periodici, che scoprirono i benefici, in termini di vendite, delle inchieste giornalistiche. Nel 1905 “Collier’s Weekly” pubblicò una serie sulla “Grande Frode Americana”, sulle medicine che nuocevano alla salute. Lo stesso anno Upton Sinclair pubblicò a puntate su “Appeal to Reason” il libro “La Giungla”, una descrizione impietosa dell’industria degli insaccati. Il disgusto fu tale che il Congresso approvò una legge sul controllo dei salumi e il Pure Food and Drug Act, che creò la famosissima Food and Drug Administration, che ancora oggi regola gli standard di sicurezza del cibo e dei medicinali americani. Nel 1906 “Cosmopolitan” pubblicò a puntate “Il Tradimento del Senato”, una descrizione impietosa della corruzione dei senatori americani, che all’epoca non venivano eletti, ma nominati dai governatori. Nel 1912 la costituzione fu riformata per rendere il Senato elettivo.Tutte queste riforme furono approvate da un presidente Repubblicano (Theodore Roosevelt prima e Taft poi) e da un Congresso per lo più a maggioranza repubblicana. Non fu quindi una battaglia tra democratici e repubblicani, ma una risposta di politici attenti alla volontà popolare. Per dei politici emergenti, gli scandali rappresentano una ghiotta opportunità di successo. In un mondo politico competitivo, in pochi se la lasciano scappare. Cosa manca all’Italia d’oggi per cominciare una stagione di riforme? Innanzitutto, un settore dei media animato da motivi commerciali e non politici. I coraggiosi documentari della Gabanelli hanno I un grosso successo di pubblico. Se ne vediamo così pochi è perché tanto la Rai quanto Mediaset non operano secondo logiche commerciali, ma secondo logiche politiche. In secondo luogo, il sistema politico italiano rende difficile l’entrata di outsider. A destra abbiamo un’azienda padronale trasformata in partito, a sinistra un partito erede del centralismo democratico trasformato in azienda. In questo contesto è difficile per donne e uomini nuovi irrompere sul mercato politico sfruttando il malcontento diffuso. Senza un pubblico informato, però, non esiste spazio per un politico nuovo. Se vogliamo cambiare, dobbiamo cominciare riportando le logiche di mercato nel mercato dei media.
fonte: L’Espresso
26 novembre 2010