Il rischio da stress sul lavoro diventa una malattia professionale, punibile dal codice penale. La nuova e specifica normativa entrerà in vigore il prossimo 31 dicembre, dopo un primo slittamento per mettere un po’ di ordine in una materia che spalanca le porte delle aziende a diritti e doveri del tutto inediti per l’Italia, in seguito ad un accordo europeo fra le associazioni di imprenditori e lavoratori. Si annuncia una rivoluzione copernicana per il nostro paese e si sta già tentando di metabolizzarla con «una versione all’italiana», è il commento di Raffaele Guariniello, che già lavora alla sua applicazione. E lui a prospettare il primo scenario di stress da lavoro: «Il precariato come fonte di insicurezza».
“Ma in una circolare ministeriale – osserva il pm – sulla nuova disciplina si è inserita un’ulteriore proroga, questa volta mascherata e priva di efficacia legislativa. Alla Procura di Torino abbiamo deciso di non tenerne conto e abbiamo già svolto incontri con i servizi ispettivi Asl per prevedere il rispetto della norma». La circolare affida ai datori di lavoro l’obbligo di monitorare ambienti, condizioni, organizzazione del lavoro ai fini della prevenzione dello stress. La questione è: nel farlo decorrere dal 31 dicembre, non stabilisce alcun arco temporale in cui il rischio da stress «lavoro-correlato» deve essere affrontato.
La soluzione all’italiana consisterebbe in un «avvio senza fine». Nel frattempo i reati di mancata prevenzione e di lesioni colpose per i casi di stress conclamato non potrebbero colpire nessuno.
Le linee guida degli «esperti» nominati da tre ministeri fissano «eventi sentinella» di cui tener conto per l’«insorgere dello stress sul lavoro»: «Indici infortunistici, assenze per malattia, turnover, procedimenti e sanzioni; segnalazioni del medico competente; specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori». Alle aziende spetterà la verifica della loro incidenza dopo aver «sentito» gruppi «omogenei» di lavoratori; «per esempio i turnisti o chi svolga la medesima mansione».
Ma se emergeranno «conflitti interpersonali sul lavoro» o nei casi di «evoluzione e sviluppo di carriera» o di «comunicazione» (ad esempio in ordine alle prestazioni richieste) il singolo avrà pieno titolo di reclamare davanti ad un giudice per lo stress provocatogli. I settori oggi considerati più a rischio sono quello sanitario (91 per cento) e dell’istruzione (84 per cento).
Ai datori di lavoro si lascia la scelta di «come sentire» i propri dipendenti. Purché poi riportino ogni valutazione sul «come» interverranno nel fare prevenzione. Qui entra in scena il «documento di valutazione dei rischi». Anche la più piccola azienda fa riempire dai propri consulenti centinaia di pagine sulla prevenzione di infortuni, incendi, malattie e, fra poco, anche dello stress sul lavoro. Scrivere è diventata una soluzione molto italiana per mettersi a posto rispetto alla legge.
lastampa.it
25 novembre 2010