Oltre 30 mila euro a medico in servizio a Piove di Sacco. La sentenza del giudice del lavoro: 16 anni di turni massacranti e servizi d’urgenza per “carenza di personale”
La salute, prima di tutto. Deve averlo pensato anche il giudice del lavoro del Tribunale di Padova, Francesco Perrone, che ha condannato l’Usl 14 del Veneto al pagamento di 30.825 euro (più le spese processuali) come risarcimento danni alla salute per l’infarto subito nel 1999 dal dottor Pier Paolo Ive, medico ora in pensione, ma dipendente dell’ospedale di Piove di Sacco dal 1984 fino al 2000. Sedici anni passati a svolgere un superlavoro tra turni massacranti e servizi d’urgenza con il Suem, senza ferie e riposi goduti. Una passionaccia per il suo lavoro che, al dottor Ive, è quasi costata la vita l’1 giugno 1999. Quel giorno Ive era a lavoro, in un turno di 24 ore senza mai una pausa. Quando alle prime ore del 2 giugno ha timbrato il cartellino, si è sentito male. E così il dottor Ive è diventato il paziente Ive, ricoverato all’ospedale di Padova e operato d’urgenza al cuore per un infarto acuto al miocardio. Per salvargli la vita gli vengono inseriti due bypass. Poche settimane dopo torna al suo posto nell’ospedale di Piove di Sacco.
Ma la denuncia, nei confronti dell’Azienda ospedaliera Usl 14 di Chioggia, scatta comunque. In tribunale Ive, assistito dai legali Giancarlo Moro e Marta Capuzzo, porta tutta la documentazione e il racconto di anni di lavoro che secondo lui (ma lo dice una consulenza tecnica firmata dal medico legale Paolo Benciolini) «avrebbe svolto un ruolo concausale assieme ad altri fattori » nell’infarto che lo aveva colpito. Nella memoria depositata sul tavolo del giudice i legali raccontano di una situazione che, tra il 1993 e il 1994 e il 1997 e 1999, vedeva il medico attivo cinque giorni la settimana in turni da 13 ore, mentre un sesto turno era di 24 ore, il più delle volte timbrati come turni da 12 ore. Per un totale di 60 ore settimanali. Tutto perché, denunciava, c’era una netta carenza di personale. Nella sentenza il giudice parla di un’«attività di prevenzione a cui il datore di lavoro è tenuto, a salvaguardia della salute del prestatore di lavoro» e che «deve estendersi a tutte quelle misure che si rivelino idonee a tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti. Il mancato adeguamento dell’organico… oltre che l’imposizione di ritmi di lavoro eccedenti la normale tollerabilità, costituiscono inadempimento suscettibile di risarcimento.
corriereveneto.it
17 novembre 2010