Ha passato quattro rettori dell’Università, due presidenti di Regione, un Tapiro d’oro (consegnatogli dall’inviato di Striscia Valerio Staffelli nel gennaio 2011, per il caso dei mancati rimborsi alle pazienti sottoposte a fecondazione assistita). Dopo diciassette anni, il ras col baffo della sanità padovana, Adriano Cestrone (66), è pronto a lasciare la città del Santo (vi era arrivato nel 1995, da direttore sanitario dell’Usl).
Il governatore Luca Zaia, infatti, non lo confermerà alla direzione generale dell’Azienda ospedaliera, che comanda dal 2003; né a quella dell’Usl 16, che guida come «supplente» dall’ottobre 2011, cioè da quando è mancato improvvisamente l’ex direttore Fortunato Rao.
Cestrone, finisce un’epoca. Come è cambiata la sanità padovana in questi anni?
«È stata un’esperienza bellissima. Quando sono arrivato a Padova l’ospedale aveva 3500 posti letto. Lentamente ne abbiamo ridisegnato il modello, puntando sull’attivazione dei day ospital e day surgery. Siamo arrivati ad avere una struttura più leggera e meno dispendiosa. Oggi abbiamo 1415 posti letto e a breve scenderemo a mille. Questo è il futuro: razionalizzare le risorse, per avere ospedali più competitivi dal punto di vista dei costi».
Per farlo ha tagliato vari reparti.
«È inutile fare moralismi, per anni ci sono stati reparti creati ad personam; oggi questo non ce lo si può più permettere. Noi abbiamo cominciato con le chirurgie: ne avevamo otto, sono diventate quattro. Chiaro che qualcuno non sarà felice, perché voleva fare il primario».
Padova, intanto, da anni aspetta un nuovo ospedale. Si farà o no?
«Padova non può non avere un ospedale. E deve avere un ospedale che funzioni e che costi meno. Questo costa troppo: abbiamo appena speso 3 milioni per sistemare Pet e risonanze. Ed è in condizioni precarie: penso ad esempio al monoblocco. Una realtà come questa, che ha una storia e un’università di prestigio, non può restare in tali condizioni. I soldi? Andranno cercati anche in Veneto, ma è importante darsi da fare».
A proposito di università, durante questi anni il rapporto tra ateneo e ospedale non è sempre stato facile. L’integrazione è un modello che funziona ancora?
«Io amo la mia università, ma ho sempre cercato di vedere l’ospedale nell’ottica del paziente, una visione completamente pubblica. Per cui ci sono stati scontri duri. Il peggiore forse è stato quello con il rettore Vincenzo Milanesi: lui voleva che tutti i dipartimenti fossero diretti da un professore, io sostenevo l’idea che potessero essere guidati anche da ospedalieri. Devo riconoscere, però, che su questo l’università ha fatto marcia indietro».
Dall’università, tuttavia, le sono arrivati alcuni dei principali problemi: dallo scandalo delle valvole killer di Casarotto, fino ai casi del ginecologo Ambrosini (i cosiddetti parti fantasma), dell’urologo Artibani (il professore minacciò la pubblicazione di un libro nel quale si parlava di un presunto sistema «mafioso» in ospedale per coprire casi di malasanità) e per finire, in questi giorni, dell’odontoiatra Favero (pazienti dirottati nelle cliniche private).
«Al mio arrivo, mi sono trovato subito il problema delle valvole killer: mi faceva paura. In questi anni però ho maturato l’idea che Casarotto fosse in buona fede e che abbia pagato troppo caro il suo errore. In tutti i casi, comunque, la paura di passare dalla parte del torto è stata forte: di mezzo ci sono sempre avvocati che chiedono risarcimenti milionari. E con i tempi della magistratura non sai mai come va a finire. Io ho sempre fatto le cose con trasparenza, ma l’assicurazione me la sono fatta anche per i prossimi cinque anni. E la consiglio anche a chi mi succederà».
Al suo posto dovrebbe arrivare da Treviso, Claudio Dario. Cosa si sente di dirgli?
«Dario è stato un mio allievo. A lui, come a chiunque si siederà su questa poltrona, consiglio di avere un grande dialogo con tutti, una grande prudenza nel prendere le decisioni; ma poi, una volta prese, di portarle fino in fondo».
Politicamente, lei è stato sempre considerato un uomo di Giancarlo Galan. Con il governatore Zaia com’è andata?
«Credo che si debba avere una mentalità umbertina in questo Paese: bisogna essere uomini delle istituzioni. Al politico comunque va fatto capire che, se fai bene certe cose, gli puoi portare un consenso. Con il sindaco di Padova Zanonato, per esempio, c’è sempre stata una certa condivisione degli obiettivi. Tanto che lui ora ha chiesto la mia riconferma. Eppure io non sono mai stato di sinistra».
Andrà a Venezia a fare il segretario regionale della Sanità?
«Aspetto di avere indicazioni dalla Regione. Intanto sto togliendo i quadri appesi alla parete del mio studio. Non sono mai stato scaramantico».
Giovanni Viafora – Corriere del Veneto – 20 dicembre 2012