Ha venti anni, ma è ancora una promessa inespressa: è l’olio extravergine d’oliva a Denominazione d’origine protetta. Sono infatti trascorsi venti anni dall’istituzione del registro comunitario dei prodotti Dop e Igp e quindi dal riconoscimento dei primi marchi Ue anche per il settore olivicolo.
Un sistema che per molti prodotti si è trasformato in un volàno di crescita ma non per gli oli d’oliva. Rappresentano appena il 2% dell’extravergine Nel comparto dell’olio d’oliva infatti nonostante il numero di riconoscimenti sia arrivato a quota 43 (con gli ultimi arrivati “Vulture”, “Terre aurunche” e “Seggiano”) il peso percentuale delle Dop sul totale dell’extravergine è fermo alla misera quota del 2 per cento. È quanto emerge dall’analisi effettuata dall’Unaprol, una delle principali organizzazioni di olivicoltori italiani, che ha indetto per il prossimo 12 dicembre a Roma un incontro proprio per riflettere sul ventennale degli oli a denominazione d’origine protetta. L’Italia ha il primato dei riconoscimenti nella Ue Gli oli Dop e Igp riconosciuti nella Ue – spiegano all’Unaprol – sono complessivamente 116. Di questi 43 sono in Italia (pari al 40% del totale) distanziati la Grecia (27 riconoscimenti) e la Spagna (con 26 marchi relativi al settore dei grassi ma solo 18 legati al comparto dell’olio d’oliva). Tuttavia nonostante il gran numero di riconoscimenti la realtà italiana Dop rappresenta ancora una nicchia molto piccola. Secondo le stime di Ismea–Qualivita e relative al 2010 su una produzione italiana di olio d’oliva che si aggira intorno alle 500mila tonnellate, quella certificata Dop è ammontata a circa 10.500 tonnellate, stabile (+0,7%) rispetto all’anno precedente. Il fatturato concentrato in poche mani Andamento analogo anche per quanto riguarda il fatturato che oltre a non registrare incrementi, resta vincolato a pochi prodotti. Di tutte le 43 Dop e Igp italiane le prime tre (Igp Toscano, Dop Terra di Bari e Dop Riviera ligure) coprono circa il 70% del fatturato totale del settore (che nel complesso ammonta a 73 milioni di euro). Un mancato sviluppo che è tutto da ascrivere a difficoltà già segnalate nel recente passato e cioè legate a una filiera estremamente frammentata, alla mancanza di un’organizzazione dell’offerta, allo scarso coordinamento tra attori pubblici e privati e alla carenza di strumenti adeguati per affrontare la concorrenza di prodotti esteri. Sarà per tutti questi motivi e soprattutto per la loro scarso peso produttivo che nel recente accordo bilaterale Ue–Cina di mutuo riconoscimento di 10 prodotti Dop e Igp, nella lista fornita dall’Ue non c’è neanche un olio Dop italiano contro i due spagnoli. Ma resta un segmento sul quale insistere «Eppure nonostante questi risultati poco lusinghieri non bisogna abbassare la guardia – spiega il presidente dell’Unaprol Massimo Gargano – perché l’olio Dop italiano oltre a vantare caratteristiche uniche è quello che assicura un più stretto legame con i territori d’origine. Gli oli Dop sono vere e proprie “Ferrari” dell’alimentare italiano che hanno bisogno di una intensa attività di informazione al consumatore che conosce troppo poco le loro specificità e le differenze rispetto ai prodotti convenzionali». Il presidente dell’Unaprol non nasconde che un difetto del sistema è la concentrazione su pochi marchi della quasi totalità del fatturato. «Ma resto convinto – conclude Gargano – che ci siano diverse denominazioni che possono davvero svolgere un ruolo di traino del settore. Come la Dop laziale Sabina e quella irpina delle Colline dell’Ufita che hanno caratteristiche uniche e potenzialità per far compiere al settore un salto di qualità».
ilsole24ore.com – 10 dicembre 2012