Nei Comuni mancano gli informatici e i documenti vengono spesso archiviati in modo errato e si perde la validità legale
VENEZIA – «Gli enti e i Comuni più piccoli, dove mancano le professionalità informatiche, stampano i messaggi di posta elettronica certificata e archiviano la copia cartacea, cosa che di fatto annulla la validità legale del documento». L’esempio è solo una della tante follie legate ai mezzi di certificazione digitale segnalate dalla direzione informatica della Regione Veneto, dove regna lo sconforto.
Posta elettronica certificata (Pec, il sistema che consente di inviare mail che hanno lo stesso valore legale di una raccomandata con ricevuta di ritorno) e firma digitale (un meccanismo che consente al “firmatario” e al destinatario di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico) sono sempre più diffuse. Manca però la familiarità con esse, con conseguenze che nel giro di pochi anni rischiano di complicare la vita dei cittadini anziché semplificarla.
A Pordenone dal 2009 la sola Camera di commercio ha rilasciato 6.700 dispositivi per la firma digitale, con un picco nel 2011 quando la Regione Friuli Venezia Giulia ha bandito un concorso a cui si poteva accedere solo utilizzando la firma digitale. Nello stesso periodo la Camera di Treviso ne ha rilasciati 18.700. Avere dati complessivi della diffusione è impossibile, visto che i certificatori che vendono le firme digitali sono sia enti pubblici che privati.
L’ingegner Andrea Boer della direzione informatica della Regione Veneto traccia un quadro poco rassicurante. «Pec e firma digitale sono il futuro – sostiene – I vantaggi sono innegabili: il risparmio di tempo e di soldi rispetto ad una raccomandata o a un fax. Se pensiamo che la storia dell’umanità è nata coi primi graffiti nelle caverne, quindi su un supporto materiale, e che la prima legge sul digitale è del 1997, capiamo che siamo di fronte ad un cambiamento radicale di un sistema millenario. Impossibile che avvenga senza problemi».
Pare però che siano parecchi: «L’archiviazione dei documenti digitali solleva di problemi che molti enti e molti professionisti non solo non sono preparati ad affrontare, ma neanche immaginano». Vediamo alcuni esempi. «La legge stabilisce il tempo per cui deve essere conservato un determinato atto: un mandato di pagamento 15 anni, una delibera regionale in eterno, eccetera. Le modalità di conservazione dei documenti informatici, però, sono diverse da quelle che si usano per la carta».
Errore numero 1: lasciare il messaggio di Pec nella casella di posta. «Per legge l’agenzia che gestisce la casella ha l’obbligo di conservare i messaggi per 30 mesi». Errore numero 2: salvare il documento nel disco fisso. Il sistema operativo è certificato per un dato numero di anni, oltre i quali viene meno anche la validità del documento.
«Gli stessi sistemi che consentono l’uso di Pec e firma digitale hanno una scadenza (la durata è tre anni, ndr) che si trasferisce ai documenti. Se applico la firma digitale ad un contratto il giorno prima che il sistema di firma scada, il documento è valido un giorno solo». Paradossi della modernità: a fronte di queste problematiche il caro vecchio fax rischia di essere più affidabile. Almeno per la durata. «Servono formazione e aggiornamento – spiega Boer – ma i Comuni dicono che oggi hanno altri problemi a cui pensare. Lo capisco, però prima o poi dovranno affrontare anche questi. Anche perché tra qualche anno la situazione potrebbe esplodere».
Il Messaggero – 10 dicembre 2012