Il capitale umano, a tutti i livelli, non difetta di certo all’Italia. Gli operatori sanitari qualificati e impegnati quotidianamente nell’assistenza, così come le reti familiari – da sempre punto di forza nel nostro Paese – hanno consentito fino a oggi alle persone di “reggere” all’impatto fortissimo della crisi e dei tagli da spending review.
Eppure, a leggere il capitolo Welfare del 46° Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale nel Paese, presentato questa mattina a Roma, emerge il ritratto di un’Italia al limite
- Il capitolo sul Welfare del 46° Rapporto Censis
- Censis, la sintesi del capitolo sul Welfare
- Censis, comunicato stampa n. 1: l’Italia alla prova della sopravvivenza
- Censis, comunicato stampa n. 2: Segnali di reazione degli italiani. In moto processi diriposizionamento nel sociale e nell’economia
Un Paese in cui sempre più forte è il gap tra il livello decisionale, da un lato, e la vita reale e i bisogni pratici degli individui e dei nuclei familiari, dall’altro. E in cui, come si legge nell’indagine, al «ritrarsi del welfare pubblico» corrisponde «un trasferimento del costo della tutela sociale verso i bilanci familiari, con intensità differenziate nei vari comparti, ma univoche nella direzione». La direzione è quella tracciata dalla «attuale corsa al ripristino della sostenibilità finanziaria del bilancio pubblico», che ha prodotto un «downsizing» del welfare garantito dallo Stato.
Le conseguenze sono evidenti: «Già emergono segnali di fuoriuscita dalla tutela, cittadini che di fronte al costo di prestazioni sanitarie semplicemente ci rinunciano oppure di fronte al costo degli strumenti di previdenza complementare dicono “ci penserò più avanti” e rinviano». Ma «un eccesso di “cortotermismo” applicato al welfare – avvertono ancora dal Censis – rischia di produrre solo tagli e smobilitazione, laddove invece sarebbe opportuno puntare su investimenti di lungo periodo sui quali costruire una più generale strategia di superamento sostanziale delle difficoltà attuali».
Meritevole di investimenti sarebbe proprio quel «giacimento forse unico di competenze molto diversificate tra loro» ma qualificate, rappresentato dai 724mila operatori della Sanità italiana: oltre 237mila medici, oltre 334mila infermieri, quasi 49mila riabilitatori, oltre 45mila tecnici-sanitari e più di 11mila operatori con funzioni di vigilanza e ispezione. Uno dei maggiori bacini occupazionali del nostro Paese, su cui cittadini sempre più competenti e accorti esprimono giudizi ampiamente positivi (in particolare verso medici e infermieri) e a cui le famiglie guardano come possibile prospettiva occupazionale per i propri figli. E di posti di lavoro, ricordano ancora gli esperti del Censis confrontando i dati italiani con quelli di Paesi come l’Olanda e la Francia, ce ne sarebbero sia nel nursing che nell’ambito della medicina generale. Ma ciò richiederebbe una riprogrammazione degli accessi ai corsi universitari e alla formazione nel suo complesso. E invece «l’università vivacchia con il numero chiuso negli accessi alle professioni sanitarie che per gli italiani è una vera iattura». E questa è solo la punta di un iceberg – la Sanità italiana – afflitto da modelli organizzativi e gestionali che stentano a valorizzare la professionalità e da un «controllo politico giudicato soffocante e tra le prime cause primarie di inefficienze e sprechi».
Intanto, ricordano dal Censis, la salute costa e costerà sempre di più.
Basta guardare le proiezioni sull’evoluzione demografica dei prossimi vent’anni, per capire che «la sfida nei prossimi decenni consiste, dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi, nell’adeguamento del sistema di offerta a un bisogno che si modifica profondamente, virando verso la cronicità e le sue complesse necessità assistenziali». Su questo fronte, l’Italia è drammaticamente all’anno zero. I dati del ministero della Salute raccontano di un pugno di ore – in media appena 22 – erogate a ciascun caso preso in carico dai servizi di assistenza domiciliare integrata. A supplire sono, come sempre ma in prospettiva con sempre meno chance, visto che la crisi ha pesantemente aggredito i risparmi anche dei ceti medio-alti, le famiglie. La spesa sanitaria “out of pocket” cui ormai è costretto a ricorrere l’84,6% delle famiglie è (dati Istat 2011) di 28 miliardi, pari all’1,7% del Pil. La «delega alla famiglia» sta diventando ormai pesantissima e incide sulle scelte di cura. Cartina di tornasole sono le prestazioni odontoiatriche, che il 35% delle famiglie con reddito medio-basso o basso ha ridotto all’essenziale.
A pagare il conto più salato sono le famiglie-caregiver che devono far fronte a situazioni di cronicità e non autosufficienza: per le sole spese dirette l’esborso annuo oscilla tra i 6.043 euro per l’ictus, i 6.884 euro per accudire un caro malato di tumore e i 10.547 euro da destinare a un anziano con Alzheimer.
Emergenze cui fino a oggi ha supplito la rete parentale: il 59,4% delle famiglie dichiara di aver dato o ricevuto nell’ultimo anno almeno un aiuto. Ma se fino a oggi l’unione è stata la vera forza del sistema sociale italiano, la debolezza del meccanismo redistributivo e le prospettive a tinte fosche sul fronte previdenziale, già gravato da pesanti diseguaglianze, impongono una brusca virata nelle politiche di welfare. Che tenga conto delle reali esigenze delle persone.
«Una reazione diffusa di rabbia contraddistingue i sentimenti degli italiani nei confronti della crisi: il 52,3% si esprime così rispetto agli avvenimenti degli ultimi mesi, e la rabbia ha superato decisamente la paura (21,4%) nei dati sul clima psicologico del Paese», ha commentato per Il Sole-24 Ore Sanità i risultati del Rapporto Carla Collicelli, vicedirettore Censis.
«Il quadro complessivo di questo anno sociale – ha aggiunto – è caratterizzato da un clima di separazione tra chi, in basso, vive la quotidianità e la concretezza della vita di tutti i giorni e chi, dall’alto, interviene e lavora sulle macro-compatibilità di sistema. Mentre sarebbero auspicabili una collaborazione fattiva e una sinergia strategica tra i due livelli, quello che si muove sul terreno dei grandi temi dell’economia, della finanza e della politica europea, e quello dei comportamenti, delle scelte, dei bisogni e dei costi sociali ed economici che ricadono sulle famiglie. Ma ciò non potrà accadere se non si porrà mano a una revisione decisa dei fattori che determinano lo squilibrio più importante che caratterizza il welfare italiano: il divario tra il welfare assicurativo (vecchiaia e superstiti), il welfare sanitario (malattia) e il welfare redistributivo (famiglia, esclusione sociale e disoccupazione)».
Il Sole 24 Ore sanità – 7 dicembre 2012