Doha in Quatar è stata luogo di famosi incontri: prima per la World Trade Organization (WTO), quando durante appunto il “Doha Round” (4° conferenza ministeriale del WTO nel 2001) poneva grande enfasi sulle possibilità dei paesi in via di sviluppo di poter partecipare alla “abbuffata globale” che il commercio promettava in virtù di scambi sempre più liberi.
E se è vero che proprio i paesi emergenti non sembrano volere rinunciare a standard economici più elevati, ora che li hanno a portata di mano, le cose si complicano. Perchè nel frattempo, il clima mondiale è cambiato.
Ieri proprio Doha è stata al centro di un nuovo incontro tra 190 rappresentanti di paesi, per cercare di rinnovare gli sforzi in seguito al limitato impatto del “protocollo di Kyoto” sull’ambiente. Protocollo ufficialmente morto. Ma con un global warming che non accenna a diminuire e anzi, ha bruciato le peggiori aspettative di un aumento di 2 gradi centigradi della temperatura globale, in grado di diminuire di ben il 30% la produzione agricolo sul nostro pianeta. Ora, si parla di attese pari a 7 gradi di aumento. Per l’ Unep, il Programma ambiente delle Nazioni Unite, le emissioni serra sono già oltre il 14 per cento al livello massimo atteso per il 2020 qualora si avesse voluto mantenere la febbre del pianeta entro i 2 gradi.
Proprio in questi giorni è stato pubblicato il Rapporto del Food SCP (Sustainable Consumption and Production) Roundtable (in particolare del suo Gruppo di Lavoro per il miglioramento continuo, in particolare, il WG-3) una iniziativa pubblico-privata che oltre alla Commissione Europea, vede coinvolti diversi attori per arrivare ad una valutazione uniforme dell’impatto ambientale della produzione alimentare. In ogni caso, lo scopo dell’attività è stato recentemente aperto anche alla valutazione di aspetti non strettamente ambientali. Certo le iniziative di questo tipo sembrano drammaticamente in ritardo nei confronti di un cambiamento climatico sempre più veloce.
Il rapporto copre i vari stadi della filiera alimentare, dalla industria degli input, alla distribuzione, fino ai consumatori, individuando e riconoscendo quanto fatto fino ad oggi per stabilire una metodologia chiara che permetta di pervenire alla sostenibilità ambientale, nonché delle azioni più significative da continuare a seguire e diffondere.
In ogni caso un intero capitolo del rapporto è dedicato all’impatto ambientale delle attività strettamente agricole (da pagina 43), con il dovere morale del settore primario di “produrre di più impattando di meno”, in un mondo che vede una crescita demografica intensa. Il supporto finanziario della nuova PAC si rende insomma necessario per arrivare ad includere tutta una serie di aspetti e servizi ambientali (“Misure agroambientali”).
Tra gli aspetti positivi, va sottolineato che dal 1990 al 2005 l’agricoltura europea ha abbassato del 20% le emissioni di gas serra, soprattutto tramite la riduzione dell’uso di fertilizzanti ed una limitazione del numero di allevamenti. Il settore agricolo ha migliorato molto più in fretta degli altri settori, diminuiti “solo” dell’8% circa le emissionio di gas serra.
Tra le azioni chiave che l’agricoltura europea dovrebbe mettere in atto per arrivare ad una sostenibilità ambientale vengono riportate:
– una maggiore autonomia sul fronte delle proteine vegetali, di cui l’Europa è deficitaria per il 70% e che rende oneroso e inquinante il trasporto;
– la condivisione di buone prassi tra le imprese, in grado di velocizzare il raggiungimento degli obiettivi;
– la diffusione di tecniche a basse emissioni per i concimi e i fertilizzanti minerali;
– l’utilizzo di nuove strategie di alimentazione animale, per generare meno metano (che ha 20 volte il potere di riscaldamento della CO2);
– dare supporto agli investimenti in energie rinnovabili;
– diffondere il precision farming e tutte le tecnologie che consentono di arrivare ad una “intensificazione produttiva sostenibile”;
– ridurre le malattie animali e l’uso di antibiotici, mantenendo alta la produttività;
-registrare le performance di sostenibilità:
-arrivare ad un uso più efficiente di nutrienti, mangimi, acqua, fitosanitari, energia e altri input.
28 novembre 2012 – sicurezzaalimentare.it