La pratica del finning uccide tra i 50 e i 75 milioni di animali all’anno. Il tutto per soddisfare gli esigenti palati degli avventori dei ristoranti orientali. E il 27% di pinne vendute a Hong Kong proviene dall’Europa. In Italia oltre 70 vip hanno firmato per spingere Bruxelles ad agire
DALLA LIBERTA’ marina al piatto la strada è breve. Peccato che delle decine di milioni di squali catturati sia utilizzato in media meno del 2%: solo le pinne, mentre l’animale è rigettato in mare spesso ancora in vita. La pratica del finning, o “spinnamento”, uccide tra i 50 e i 75 milioni di squali all’anno. Il tutto per soddisfare gli esigenti palati degli avventori dei ristoranti d’oriente: Cina, Taiwan, Hong Kong. Non solo Asia però, perché l’Italia è in realtà il primo importatore di carne di squalo in Europa, sia fresca che surgelata e derivati come le pinne. E Spagna, Portogallo, Francia e Regno Unito pescano in acque internazionali annualmente circa 100.000 tonnellate di squali. Ben il 27% delle pinne di pescecane vendute a Hong Kong provengono dal nostro continente. Un prelievo che non è sostenibile, considerando che a livello mondiale una specie su tre è a rischio di estinzione come dichiara l’IUCN, l’Unione internazionale per la conservazione della natura.
Per questo l’Unione Europea è messa alle strette per varare entro il 22 novembre una nuova normativa salva squalo. Una lista di oltre 70 Vip si è già impegnata a firmare l’appello e ci sono ancora due giorni per aderire alla petizione per una nuova legge che
obblighi a sbarcare a terra gli squali interi, in modo da poterne sfruttare commercialmente non solo le preziose pinne ma l’intero animale. Tra i firmatari anche Andrea Camilleri, Piero Angela, Carlo Petrini, Alessandro Preziosi, Umberto Pellizzari, Lillo e Greg, Enzo Maiorca e Tessa Gelisio.
“L’Italia non ha mai richiesto permessi speciali per tagliare le pinne degli squali a bordo dei pescherecci- sottolinea da Strasburgo Serena Maso, coordinatrice per l’Italia di Shark Alliance la coalizione di associazioni e organizzazioni che promuove la tutela dei pesci cartilaginei a livello internazionale- altri paesi, come la Germania e l’Inghilterra, vi hanno già rinunciato negli anni scorsi. Attualmente solo Spagna e Portogallo esigono il permesso di finning e sono quindi proprio queste nazioni europee che osteggiano maggiormente la modifica del regolamento UE. Il parlamento di Strasburgo dovrà in ogni caso pronunciarsi sull’inquietante rapporto presentato dalla portoghese Maria do Céu Neves Patrão, che assieme agli esperti del settore, al mondo scientifico e all’opinione pubblica chiede di respingere ogni emendamento che possa reintrodurre la possibilità di tagliare le pinne degli squali sulle imbarcazioni”.
Gli squali sono sopravvissuti nei nostri mari per 400 milioni di anni e svolgono un ruolo cruciale per l’ecosistema marino. Così come i predatori terrestri quali leoni e lupi, limitano la proliferazione di altre specie, mantenendo in equilibrio la vita dell’oceano.
Le pinne di squalo impiegate nella preparazione della tradizionale zuppa cinese, servita durante cerimonie e matrimoni, vengono vendute in genere a prezzi molto più alti della carne stessa. Un chilo può valere sul mercato fino a 700 dollari e il commercio mondiale di questo alimento crea uno scambio in denaro stimato tra i 400 e i 500 milioni di dollari all’anno. Un valore che si è trasformato in un incentivo troppo forte alla crudele pratica dello spinnamento.
Nonostante il bando del 2003, l’Unione Europea rilascia speciali autorizzazioni per asportare le pinne prima di sbarcare gli squali a terra. Le associazioni italiane che fanno capo a Shark Alliance (Legambiente, Marevivo, Tethys Research Institute, Aquarium Mondo Marino Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Fondazione Cetacea, Danishark Elasmobranch Research, GRIS, Verdeacqua – Istituto per gli Studi sul Mare, MedSharks, CTS, Slow Food Italia) sostengono che tagliare le pinne a bordo dei pescherecci rende di fatto difficili, se non impossibili, i controlli, lasciando quindi aperta la possibilità di praticare illegalmente il finning in mare aperto senza la possibilità essere scoperti.
23 novembre 2012