Prima la comunicazione di Patroni Griffi in un incontro a porte chiuse ai sindacati, poi un twitter con la cifra, infine una tabella proposta sul sito istituzionale: cominciano ad uscire i numeri dei dipendenti pubblici in sovrannumero.
Sino ad ora, esaminati 9 Ministeri (ma per es. non Giustizia e MIUR), 21 Enti di ricerca e 20 Enti non economici (ma non l’INPS che è il più grande), il Ministro ha annunciato che, su circa 93.000 dipendenti ci sono 4.028 impiegati di troppo (4,3%), mentre si parla di un eccedenza di 48 dirigenti generali e 439 dirigenti di seconda fascia. Come sempre annunci di questo genere suscitano molte reazioni, anche emotive. Noi però siamo gente appassionata, ma che cerca di ragionare a mente fredda e quindi vi propongo un’analisi che parte dai fatti, legge poi le reazioni, spiega le parole e alla fine, ma solo alla fine propone una provvisoria e personale valutazione.
I fatti sono noti: dopo una stagione di ridimensionamenti fatti soprattutto con il taglio del turnover (Brunetta aveva rivendicato una diminuzione di 300.000 unità nella legislatura, anche se i numeri effettivi ad oggi appaiono assai meno importanti) siamo passati con la spending review ad una fase diciamo così “attiva” di riduzione del personale pubblico.
Così a luglio di quest’anno il Ministro della Pubblica Amministrazione parla per i dipendenti della PA centrale di una riduzione del 10% del costo del personale non dirigente e del 20% dei posti dirigenziali. Nelle slides di presentazione del provvedimento si specifica che i tagli saranno selettivi e quindi successivi ad un esame approfondito delle dotazioni e dei fabbisogni, revisionando, dove serve, gli assetti organizzativi.
Ora, dopo qualche mese, abbiamo i risultati di una prima revisione, a cui seguirà quella degli altri enti della PA centrale e poi degli enti territoriali.
Le parole: non sono chiarissime a tutti, specie a chi non si occupa di relazioni sindacali, quindi è meglio spiegarle. Ad oggi questi numeri si riferiscono alle cosiddette eccedenze. Alle persone (perché non dimentichiamo mai che parliamo di persone) che occupano questi posti saranno proposte diverse strade per un’uscita concordata (come per altro accade con il privato): dai prepensionamenti ai trasferimenti in “mobilità guidata” ai contratti a tempo parziale. Quelli per cui non sarà possibile agire in questo modo diventano tecnicamente esuberi. Gli esuberi hanno ancora qualche chance di non uscire dal mondo del lavoro in quanto sono collocati in “disponibilità” per 24 mesi, solo dopo, se non ricollocati, si passa ai licenziamenti veri e propri
Proviamo quindi ad abbozzare una risposta alla domanda del titolo, a cui i commentatori sui giornali hanno risposto in modo così drammaticamente opposto. 4.028 eccedenze su 94mila impiegati sono troppe o troppo poche?
Io credo che la risposta è impossibile senza farci un’altra domanda: “troppe o troppo poche per far che?” Per quale pubblica amministrazione? Per quale perimetro dell’azione pubblica? Per quali servizi? Per quale welfare?
Credo che non sia più eludibile una scelta strategica in questo senso. Io sono convinto che una buona amministrazione pubblica sia un “bene comune” da preservare e credo che dobbiamo cercare un assetto non “compatibile” con i soldi che abbiamo, ma “sostenibile” nel senso che costi alla collettività per quanto sia in grado di preservare e arricchire il capitale sociale e quindi il benessere equo e sostenibile delle nostre comunità. In questo senso, come ebbi già modo di scrivere anni addietro, la domanda giusta non è “quanto costa la PA?”, ma “quanto vale, ossia quanto siamo disposti a pagarla per la qualità e la quantità dei servizi che ci rende?”
Ma questa risposta dobbiamo darla con la testa, non con la pancia delle reazioni emotive, siano in un senso o nell’altro. Dobbiamo darla dopo aver visto i numeri e dopo aver preteso trasparenza: questo è il senso del mio e nostro forte e testardo impegno per l’open government.
Potremmo scoprire che questo valore è basso e allora forse alla cifra fatta dal ministro dobbiamo aggiungere uno zero e, invece del 4,3% di riduzione, la PA andrebbe dimezzata! Possiamo invece scoprire, come io credo, che in essa ci sono professionalità e impegno tali da rendere tanto alto questo valore da pensare sì ad una ristrutturazione e una riallocazione delle risorse, comunque necessaria per la PA più vecchia e peggio distribuita del mondo, ma non al ribasso, ma piuttosto al rialzo: inserendo giovani, nuove competenze, nuovi entusiasmi.
Forumpa – 16 novembre 2012