Sei strumenti in campo per ridurre il personale. Ma al ministero della Funzione pubblica spiegano che non saranno azionati in maniera indifferenziata. Bensì seguendo una strategia.
Si partirà esaminando la situazione degli statali che sono alle porte della pensione. E dunque, ovviamente, lasceranno il posto i dipendenti che nel 2013 avranno 66 anni e 40 di contributi. Pensionamenti ordinari con le regole introdotte dalla riforma Fornero. Sarà poi la volta dei pensionamenti anticipati. E qui i collaboratori del ministro Patroni Griffi chiariscono che la questione riguarderà un’area ristretta di lavoratori. E cioè quelli che, nel corso del prossimo anno, avranno 65 anni e almeno 35 di contributi. Evitando in questo modo gli esodi di massa che, nei decenni passati, hanno riguardato statali ancora giovani. Insomma, nessuno strappo violento rispetto alla riforma previdenziale del 2011. C’è poi la strada del contratto di solidarietà (stipendi ridotti a parità di orario di lavoro) e quello della mobilità volontaria, disciplinata da una legge del 2001. Si tratta di un sistema che permette ad una amministrazione di «cedere» un proprio dipendente ad un’altra. Un meccanismo che serve a ricollocare altrove una risorsa in esubero. Di regola, il lavoratore, cambiando posto di lavoro, mantiene qualifica e stipendio. Ma in qualche caso avanza di carriera. Esaurita la carta della mobilità, scatta quella obbligatoria. Dal l luglio, se la Pubblica amministrazione non è riuscita a raggiungere l’obiettivo numerico degli esuberi, applica le norme sul «collocamento in disponibilità», in vigore dal 2001 ma mai applicate. Lo statale raggiunto dal provvedimento viene messo in mobilità forzata e messo a riposo con la riduzione della retribuzione all’80% dello stipendio e la perdita delle indennità per due anni. Questo arco temporale pub essere raddoppiato se nel frattempo l’interessato matura i requisiti per la pensione. Per lui, in questa fase, c’è la possibilità di ricollocarsi chiedendo di passare in uno dei posti vacanti nello Stato: in questo caso, l’amministrazione è obbligata ad accogliere la domanda. Il licenziamento arriva solo al termine di questo processo e dei 24 mesi di mobilità. Quanto al part-time (si trova già in questo stato il 5% degli statali), le regole hanno subito molte modifiche negli ultimi anni. In particolare per opera dell’ex ministro Brunetta. Se in passato il part-time era stato un diritto del dipendente, che poteva essere posticipato per sei mesi in caso di ripercussioni negative sull’organizzazione degli uffici, da due anni a le regole sono diverse e il pubblico è più vicino al settore privato. L’amministrazione, senza dover dimostrare il grave pregiudizio, pub respingere la richiesta se la riduzione d’orario complica l’organizzazione del lavoro.
Il Messaggero – 14 novembre 2012