La crisi morde e gli italiani scoprono la «seconda sanità», quella integrativa, fatta di fondi negoziali, casse mutue e assicurazioni malattia. Tant’è che il popolo degli assistiti che ha esteso la propria copertura sanitaria con mutue e fondi ha raggiunto quota 11 milioni. Prevalentemente dislocati al Centro-Nord.
Del resto solo pochi mesi fa il Censis aveva denunciato che a causa della crisi ben 9 milioni di Italiani lo scorso anno avevano rinunciato a curarsi. Un allarme che deve essere suonato all’orecchio di molti già diversi anni prima perché dal 2003 ad oggi gli adepti della sanità integrativa sono praticamente decuplicati. Un trend simile a quello del resto d’Europa, rispetto alla quale però facciamo eccezione perché da noi ben l’80% della spesa sanitaria privata è, come dicono gli esperti, «out of pocket». Tradotto: è pagata di tasca propria dagli assistiti mentre fondi, mutue e assicurazioni coprono solo il restante 20%. Pochino rispetto agli altri Paesi europei con sistemi sanitari simili al nostro, dove la «seconda sanità» copre quasi il doppio. Questo sempre per via della crisi, che lascia poco spazio alla contribuzione che dà ossigeno ai fondi contrattuali. Ad oggi la forma più estesa di quella sanità integrativa italiana che economisti e massimi esperti del settore hanno passato al setaccio in un incontro promosso dalla Business International, dove l’incrocio di grafici e tabelle ha fornito un quadro inedito delle mutue made in Italy.
«Fondi, Casse autonome di professionisti e assicurazioni – spiega Grazia Labate, economista sanitaria dell’Università britannica di York e sottosegretario all’epoca di Veronesi alla sanità – hanno erogato lo scorso anno prestazioni sanitarie per circa 4 miliardi e mezzo di euro. Una somma che ha consentito da un lato al servizio pubblico di evitare un deficit di dimensioni difficilmente gestibili ma dall’altro ha permesso a sempre più italiani una più ampia copertura del rischio sanitario, tanto più esteso con l’aumento dei ticket su visite e analisi e con la lunghe liste d’attesa che i tagli alla sanità non hanno certamente contribuito ad accorciare».
Il tutto con una spesa modesta per i lavoratori dipendenti iscritti a uno dei 293 fondi sanitari integrativi, visto che il contributo massimo è di 263 euro l’anno, mentre cresce e sensibilmente per buona parte delle casse di professionisti, che in molti casi però non si limitano ad integrare le prestazioni offerte da asl e ospedali ma si sostituiscono a questi. Di questi fondi 200 hanno il bollino blu del Ministero della salute, che ha certificato la loro aderenza ai requisiti previsti dai decreti Sacconi e Turco del 2008-9, ossia al vincolo di destinare almeno il 20% delle risorse alle cure odontoiatriche e all’assistenza ai non-autosufficienti.
I due denti scoperti del nostro Servizio sanitario nazionale. Vincoli rispettati anche da 55 mutue integrative, che insieme ai fondi in regola con i due decreti consentono agli assistiti che vi aderiscono di portare in deduzione o detrazione dalla propria denuncia dei redditi 3.615 euro. «Resta da capire – si interroga però la Labate – se il nuovo limite di 3000 euro, stabilito dalla legge di stabilità 2013, si applicherà anche ai contributi per fondi e mutue pur essendo escluso per le singole spese sanitarie». Una ipotesi che sicuramente non aiuterebbe la crescita della «seconda sanità», che comunque in Italia come nel resto d’Europa negli ultimi due anni ha continuato ad espandersi a un ritmo più alto rispetto a quello di stipendi e inflazione.
Lo scorso anno sono nati due grandi Fondi negoziali: Cassacolf con 250 mila iscritti e Casa, il fondo per artigianato e piccola impresa che conta già 700mila iscritti su una potenziale platea di un milione e 200 mila lavoratori. Nel 2010 ben 50 rinnovi contrattuali avevano previsto accordi di sanità integrativa estesa anche ai familiari a carico. Ma anche le mutue crescono. L’ultima nata è «Nuova sanità», con 100 mila soci e 61 sezioni territoriali, mentre da poco è nata anche «Easy care» per gli anziani non autosufficienti .
La novità più rivoluzionaria e che potrebbe far scuola viene però dal Trentino, che ha istituito il primo fondo sanitario integrativo regionale, che con contratti di collaborazione pubblico-privato offre alle famiglie quei servizi che lo Stato non ce la fa più a passare. Che sia questa la strada per fronteggiare la crisi finanziaria del nostro servizio sanitario nazionale?
La stampa – 5 novembre 2012