Licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto al riassetto organizzativo e al contenimento dei costi: questa la tesi (improbabile) prospettata dalla parte datoriale. Le vere ragioni della scelta sembrano piuttosto legate ad attriti personali con il dipendente. Doveroso, quindi, procedere alla reintegra. Questa la vicenda affrontata dalla Cassazione nella sentenza n. 15258/12.
L’antefatto. La Corte di Appello di Brescia accoglieva l’impugnazione proposta da un uomo, il quale otteneva l’annullamento del licenziamento e la reintegra (nonché la corresponsione delle mensilità maturate nel lasso di tempo post licenziamento) nella società ove prestava servizio. Ricorreva per cassazione la parte datoriale, argomentando la presenza di un giustificato motivo oggettivo, incentrato su necessità di risparmio e di riorganizzazione del settore.
Su chi grava l’onere probatorio? In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo – nella cui nozione rientra l’ipotesi di riassetti miranti a una gestione più economica dell’azienda, purché non pretestuosi ma funzionali ad affrontare situazioni non contingenti – è a carico dell’imprenditore l’onere della prova, sia delle effettive ragioni poste a fondamento del licenziamento, sia della impossibilità di impiego del dipendente nell’ambito del panorama aziendale (ex multis, Cass. nn. 10527/96; 13021/01; 7717/03).
Libera iniziativa economica. Le scelta datoriale dei criteri di gestione dell’impresa (art. 41 Cost.) è insindacabile , in generale, dal giudice, il quale tuttavia è tenuto a vagliare sulla reale sussistenza del motivo addotto: in caso di riscontro di atti pretestuosi a monte del riassetto organizzativo o di riparto incongruo tra gli uffici, scatta l’addebito.
Parlano i numeri. Dall’esame della Corte territoriale è emerso come l’unico licenziamento fosse caduto su un lavoratore con cui si erano sprecati attriti e vivaci scambi di vedute, mentre sull’organico di 70 dipendenti – certo un numero non esiguo – nessun altro ha dovuto abbandonare la scrivania. Per di più non vi era stata la dismissione dell’intero settore dove l’uomo era prima impiegato, anzi lì l’attività continuava a fervere.
Mancano, insomma, le esigenze tecnico economiche dedotte dal datore e la valide ragioni che avrebbero potuto giustificare il sacrificio della posizione del controricorrente. Il gravame viene perciò rigettato
La Stampa – 1 novembre 2012