Il carico fiscale in Italia è insostenibile e la sua riduzione è uno dei nodi che ingabbiano le possibilità di rilancio del nostro Paese. Lo sanno i cittadini che ne subiscono pesantemente gli effetti e lo sa il governo. Tanti ministri ci hanno voluto ricordare l’amara realtà che ben conoscono lavoratori, artigiani e imprese. Su tasse ed evasione si è espresso domenica il premier Mario Monti.
Lunedì il ministro Passera ha evocato misure per ridurre le troppe imposte definite una zavorra. La catena degli interventi e in qualche caso promesse, che chissà se si potranno mantenere, è continuata ancora ieri. Questa volta è stato il ministro del Welfare Elsa Fornero a sottolineare l’anomalia e il record negativo del cuneo fiscale italiano: vale a dire la differenza fra il costo del lavoro (alto) pagato dalle imprese e la retribuzione netta (bassa) ricevuta dai lavoratori. Una differenza che è conseguenza anche qui delle troppe tasse.
In quel divario che si traduce in meno risorse per investimenti e consumi calanti, c’è buona parte della mancata crescita. Le società industriali e di servizi italiane, escluse quelle finanziarie, ogni anno spendono qualcosa come 400 miliardi per reddito da lavoro dipendente. Agire sul cuneo fiscale anche per pochissimi punti percentuali produrrebbe forti risparmi per le imprese ed euro in più nelle buste paga. All’apparenza semplice, molti però dimenticano che il peso sul bilancio pubblico sarebbe elevato. L’ultima operazione decisa con la Finanziaria del 2007 è costata nel corso del tempo 10 miliardi.
Promettere tagli alle tasse è facile. Ma i vincoli di gettito sono tali da far suonare ipotesi e proposte quasi una beffa per chi è in regola con il Fisco. Tanto che il governo ha dovuto con decisione togliere dal tavolo dei piani estivi possibili interventi sull’Irpef: insostenibili se non addirittura controproducenti. Annunciare tagli oggi in una situazione nella quale tutti finirebbero per aspettarsi nuovi aumenti domani, spingerebbe a risparmiare e non ad agevolare i consumi. Tanto più che, per quanto l’esecutivo voglia evitarlo, grava comunque sul nostro futuro un aumento dell’Iva che potrebbe pesare sulle famiglie per 6 miliardi.
Al tempo stesso non possono non essere messi a punto provvedimenti che indichino come la riduzione delle tasse sia l’obiettivo che si intende perseguire. Se si è individuato nel cuneo fiscale un possibile terreno di intervento per rimettere in marcia il Paese, ebbene lo si affronti.
Dalla revisione degli incentivi alle imprese potrebbero arrivare le risorse necessarie: sarà decisivo capire però in quale misura. E sarà essenziale resistere alle mille lobby che già sostengono che la cifra di 10 miliardi ipotizzata dal rapporto Giavazzi è irrealistica e che si possono ridurre i sussidi al massimo di un paio di miliardi.
Il peso del cuneo fiscale è inoltre in buon parte dovuto ai contributi sociali che servono per finanziare, ad esempio, le pensioni. I primi risultati della riforma previdenziale potrebbero essere utilizzati per misure in quella direzione?
E se, infine, fosse impensabile una riduzione generalizzata di quelle tasse sul lavoro che gravano sui dipendenti per il 47,6% (la media Ue è del 41,7%) si punti almeno a tagli di scopo: si agevoli chi assume, chi fa ricerca, si incentivino i giovani e la nascita di nuove imprese. Si lavori per favorire la crescita di domani. Dalle troppe ipotesi da convegno si passi alle scelte. Al Paese serve realismo ma anche futuro.
Corriere.it – 24 agosto 2012