Poche settimane e un fittissimo calendario di provvedimenti. Il percorso previsto per l’attuazione della spending review supera, se possibile, per complessità e delicatezza politica quanto l’Esecutivo ha dovuto affrontare dopo la conversione degli altri grandi decreti programmatici fatta esclusione, forse, per il “caso esodati” scoppiato dopo il varo del «Salva Italia».
In gioco c’è una posta molto importante: 26 miliardi di tagli alla spesa corrente da garantire tra il 2012 e il 2014 per scongiurare l’aumento delle aliquote Iva ma anche per dare un’ulteriore limatura (600 milioni) all’indebitamento netto di fine anno.
La congerie di misure messe in campo dall’Esecutivo contemplano, per diventare operative, oltre un centinaio di provvedimenti secondari (rispetto ai 70 previsti prima del maxiemendamento), tra decreti ministeriali, interministeriali, decreti del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm), direttive e circolari. E in molti casi questi procedimenti dovranno essere concertati con altri soggetti istituzionali, con tutte le complicazione immaginabili se in corso d’opera si verificassero cali di consenso politico o impuntature di parte.
La partenza a razzo – a partire da martedì prossimo con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del Dl 95 – riguarda la ripartizione dei tagli a ministeri, Regioni e Comuni, da chiudere entro il mese di settembre (visto che la legge di stabilità dovrà essere presentata non oltre il 15 ottobre). Ma il test principale, nella prospettiva dell’attuazione, riguarda sicuramente il riordino delle Province, che dovrebbe portare al dimezzamento di questi enti e all’istituzione (dal 1° gennaio 2014) di dieci città metropolitane a Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria; con contemporanea soppressione delle relative Province. Entro 40 giorni il Consiglio delle autonomie locali dovrà inviare al Governo il suo piano attuativo, mentre l’atto finale di soppressione dovrà essere varato entro la fine dell’anno.
Ancor più breve il tempo previsto per l’attuazione del riordino delle piante organiche delle amministrazioni centrali e degli enti, un piano che dovrebbe aprire alla mobilità collettiva, al trasferimento d’ufficio o al prepensionamento complessivo di circa 24mila dipendenti pubblici (11mila delle amministrazioni centrali e circa 13mila degli enti territoriali). È prevista una raffica di Dpcm entro il 31 ottobre e per rispettare i termini le amministrazioni dovranno provvedere ai tagli (e alla segnalazioni dei dipendenti in soprannumero) al massimo a fine settembre, visto che il Dipartimento della Funzione pubblica dovrà gestire le procedure passando per un confronto con i sindacati che non si annuncia semplicissimo.
Tempi più dilatati ma monitoraggio stretto, poi, per l’articolo 1 della legge, quella che prevede il rafforzamento del ruolo della Consip per gli acquisti di beni e servizi di tutte le amministrazioni; un monitoraggio che avverrà in contemporanea con i tagli automatici sui contratti in corso. «Il giocattolo non si deve rompere» ha avvertito il commissario straordinario, Enrico Bondi, e in attesa della definizione dei fabbisogni standard l’obiettivo è di assicurare risultati graduali ma certi. Oggi Consip presidia circa 29 miliardi di spesa corrente per l’acquisto di beni e servizi (sui 136 dell’intera Pa), l’obiettivo è di arrivare a 49 miliardi portando i risparmi complessivi annui da 5 a 10 miliardi.
Nei prossimi due mesi (almeno sulla carta) dovrebbero essere poi esecutive le soppressioni di una serie di enti minori mentre dovrebbe essere chiuso più a breve un atto che era previsto in termini ordinatori entro lo scorso marzo ma che è rimasto aperto: la chiusura dell’ultimo bilancio Inpdap in vista della confluenza in Inps (lo farà un commissario ad hoc). In tre mesi dovrà poi esser definito il “cantiere” delle Agenzie fiscali, con la chiusura di Monopoli, Territori e Assi-ex Unire. Entro i primi di ottobre dovrà essere varato, poi, il decreto interministeriale (Mef e Lavoro) con i criteri per l’apertura al pensionamento anticipato della seconda platea di esodati, quegli “ulteriori” 55mila che potranno uscire definitivamente dal mercato del lavoro con i vecchi requisiti pensionistici entro il 2019.
Insomma una vera e propria corsa a ostacoli. Che non si semplifica neppure quando si guarda al percorso di attuazione di provvedimenti di urgenza che sono stati imbarcati in corso d’opera. Un caso su tutti l’attivazione del plafond di 6 miliardi per finanziare la ricostruzione delle abitazioni colpite dal sisma in Emilia. Perché tutto funzioni, servono un decreto ministeriale, un provvedimento delle Entrate, la stipula di una convenzione con l’Abi e la sottoscrizione di un intesa con tre Regioni: Emilia, Lombardia e Veneto.
Ilsole24ore.com – 12 agosto 2012