La direzione sanitaria ridimensiona il caso del profugo colpito da una malattia renale che richiede un’attenta profilassi. L’uomo, dopo aver contratto l’echinococcosi cistica, ricoverato e dimesso dall’ospedale di Conegliano
TREVISO – Pericoli di contagio? Pochi. Prevenzione? Non necessaria. Lo afferma la direzione sanitaria dell’Usl 7, in questo confortata dal parere di un noto parassitologo. Ma il caso del 25enne del Niger che, dopo aver contratto l’echinococcosi cistica, è stato ricoverato e dimesso dall’ospedale di Conegliano, fa discutere. E molto. Primo perchè si tratta di una malattia rara, grave, a volte mortale, ma anche «sottostimata, sottovalutata e che necessita di approcci multidisciplinari» come ha scritto in un rapporto di qualche anno fa l’Istituto Superiore di Sanità.
Secondo motivo perchè si è manifestata, a differenza di altri casi, nel rene, cioè in un organo delicato che normalmente non è aggredito dalla patologia. Detto questo, il dibattito è aperto. L’Usl 7, nel caso specifico, punta l’attenzione su alcuni aspetti che considera eccessivamente allarmistici: «Non c’è rischio di contagio, la malattia non si trasmette da uomo a uomo e non sono necessarie misure di sanità pubblica, dato che il soggetto è chiaramente rimasto infettato nel Paese d’origine».
«L’echinococco è un normale parassita intestinale dei canidi – spiega il dottor Antonio Brino, direttore del dipartimento di Prevenzione dell’Uls7 – Il fatto che nell’animale sia presente l’echinococco non comporta rischi per l’uomo, se vengono rispettate le comuni misure igieniche. Per questo non sono raccomandate misure di profilassi veterinaria». Ma ci sono pareri professionali discordanti, legati soprattutto al rispetto delle norme igieniche, un ambito che genera preoccupazione.
«La trasmissione all’uomo avviene principalmente per contaminazione con le uova del parassita presenti su ortaggi o su feci» sostiene un rapporto dell’Istituto Zooprifilattico delle Venezie. Traduciamo con un esempio concreto: se per ipotesi un bambino che sta giocando in un prato dovesse sporcarsi inavvertitamente le mani con le feci di un cane infetto, le uova della larva – che sono resistenti – potrebbero finire per contagiarlo. E la mamma, nel tentativo di pulire il bambino, potrebbe a sua volta entrare in contatto con le uova e allo stesso modo esserne contagiata. In pratica l’uomo, nel caso venisse a contatto con il parassita o con i luoghi o gli alimenti in cui si annida, potrebbe fare da vettore proprio come una mosca. Ecco perchè, dopo le cure ospedaliere, è importante che il giovane, residente assieme ad altri 30 profughi all’Hotel Parè di Conegliano, completi la profilassi senza se e senza ma.
«Certo, la trasmissione da uomo a uomo è una possibilità remota – afferma Ernesto Schievenin, direttore sanitario dell’ospedale veterinario Città di Conegliano – ma questo non significa che sia impossibile. Qui non si tratta di fare una caccia alle streghe: semplicemente l’episodio non va sottovalutato». Tanto più che – secondo l’Istituto zooprofilattico – il parassita è già entrato nell’ecosistema al punto che c’è una precisa attività di ricerca orientata a scoprire i focolai autoctoni. «Prevenire l’instaurarsi di cicli permanenti in aree non endemiche, con conseguente grave rischio per la salute pubblica è fondamentale» conclude il rapporto dell’Istituto. In definitiva, occorrono prevenzione e controllo, non soltanto sui soggetti che hanno contratto il parassita, ma anche anche attraverso l’educazione sanitaria, la lotta alla macellazione clandestina, il randagismo. «Però lasciatemi dire che il giovane africano non rappresenta un pericolo immediato per le altre persone – afferma Mario Pietrobelli, presidente della Società italiana di parassitologia – L’incidenza di questa malattia nell’uomo è rara, ma non rarissima. Pur non essendoci dati ufficiali è stata stimata in circa 1,3 casi ogni centomila abitanti. E non mi risulta vi siano mai stati nè contagi nè epidemie».
Il Gazzettino – 2 agosto 2012