Accusare qualcuno di avere un carattere debole è più grave che mettere in discussione la sua virilità. Partendo da questa considerazione la Corte di cassazione, con la sentenza 30719, considera lesiva dell’onore la frase «non hai le palle».
Il carattere illecito dell’espressione non nasce tanto dall’esplicito riferimento alla “menomazione” organica, quanto dalla sottintesa accusa di mancare di personalità, di essere un uomo debole e incoerente. Deficit, molto più gravi della presunta scarsa virilità, che passa in secondo piano rispetto alla negazione di virtù che, a torto o a ragione, il linguaggio continua a considerare prerogative del genere maschile. Pesano nella condanna per ingiuria anche il luogo e i ruoli delle persone coinvolte in quella che il giudice di pace aveva liquidato come una semplice “contesa familare”.
Il fattaccio è avvenuto in un ufficio giudiziario e a proferire la frase incriminata, rivolta a un avvocato, era stato proprio un giudice di pace. Un insulto pronunciato in un contesto lavorativo e a voce alta. La Cassazione non ha nessun dubbio sul vulnus subito dalla parte offesa. Chi ha le idee meno chiare è l’avvocato del ricorrente che “pasticcia” e cerca l’assoluzione del suo assistito facendo un improbabile accostamento con la precedente giurisprudenza della Corte, che aveva assolto l’espressione «non rompere le palle».
Malgrado l’elemento in comune nelle due frasi, i giudici escludono qualunque anologia e bollano come non pertinente la citazione. La sentenza invocata si riferisce solo alla richiesta, magari non proprio ortodossa, di non intralciare il lavoro di chi l’aveva pronunciata. Nè la lesione dell’onore può essere esclusa solo sulla base di una pretesa «evoluzione» del linguaggio. Che va verso la volgarizzazione.
ilsole24ore.com – 2 agosto 2012