Il paziente non s’abbandona al suo destino dopo un’operazione. E non basta a dimostrare impegno qualche visita di controllo: occorre adoperarsi attivamente per risolvere gli eventuali disturbi accusati dal malato, indirizzandolo «verso la soluzione del problema».
La terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 12229/2012 depositata il 17 luglio, richiama all’ordine i chirurghi annullando con rinvio una sentenza della Corte d’appello di Bologna.I fatti risalgono al 1992, quando una donna, in seguito a un intervento di ernia discale, riporta gravi dolori e un deficit motorio che si risolvono soltanto tre anni dopo, grazie a una nuova operazione effettuata a Lione. Da qui la decisione di rivolgersi al tribunale di Parma per chiedere all’Ausl e alla Regione il risarcimento dei danni.I giudici di primo grado accolgono la domanda e nel 2003 condannano l’azienda sanitaria e i medici a pagare alla paziente 60.993 euro. Nel 2009 la Corte d’appello di Bologna ribalta la pronuncia, escludendo ogni responsabilità dei sanitari e rigettando tutte le richieste della paziente. Che però non ci sta e ricorre in Cassazione. Adesso la Suprema Corte le dà ragione.
Il Sole 24 Ore Sanita – 1 agosto 2012