Al sindacato non è piaciuta la proposta di ieri del Censis. “Il Ssn pubblico e universale rimane la risposta migliore e la meno costosa, anche nei confronti internazionali”. “Pensiamo semmai a veri fondi integrativi collettivi per assorbire la spesa privata attuale”.
“Secondo l’ultima ricerca del Censis, i tagli al servizio sanitario generano iniquità, mentre continua a crescere il gap tra i fabbisogni delle sanità regionali e il finanziamento previsto. Così la sanità è negata per 9 milioni di italiani e allora, sostiene il Censis, servono i Fondi integrativi. L’analisi è condivisibile, quello che non convince è il rimedio proposto: più fondi sanitari privati di fronte ai tagli della sanità pubblica”. Questo il commento di Vera Lamonica e Stefano Cecconi della Cgil alle proposte avanzate ieri dal Censis nel corso del Welfare Day.
“Non ci convince – spiegano i due sindacalisti – perché la tutela della salute, tramite i Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria, è un diritto costituzionale, e se fosse affidata al mercato assicurativo, come dimostrano le esperienze in altri paesi, farebbe crescere ingiustizie e esclusioni ancora più gravi. Sarebbe un infelice ritorno al passato, quando le “vecchie mutue”, oltre curare in modo diseguale i cittadini (più o meno bene a seconda della mutua di appartenenza) hanno generato un enorme debito pubblico. Così alle pesanti differenze già oggi presenti tra regioni del paese si aggiungerebbero le differenze per mutua di appartenenza”.
“Per questo insistiamo: bisogna fermare i tagli, e investire per riqualificare il Servizio Sanitario Nazionale, soprattutto in alcune regioni dove i disavanzi di bilancio sono associati a cattiva qualità dell’assistenza. Il SSN pubblico e universale – aggiungono – rimane la risposta migliore per rispondere al bisogno di salute e di cure dei cittadini e la meno costosa, anche nei confronti internazionali”.
Nulla da fere per i fondi? Non del tutto. Secondo Lamonica e Cecconi infatti “i fondi sanitari privati potrebbero invece offrire una copertura ai tanti cittadini costretti a spendere “di tasca propria” (out of pocket) già oggi quasi 30 miliardi ogni anno”.
Questi cittadini, spiegano, “pagano per prestazioni non coperte (o coperte male) dal servizio sanitario, come la non autosufficienza o l’odontoiatria, ma anche per evitare lunghe liste di attesa”.
“Fondi “collettivi”, realmente integrativi e non sostitutivi – concludono gli esponenti del sindacatoi – potrebbero offrire vantaggi a questi cittadini, che oggi sono lasciati alla mercé dell’offerta, a causa della ben nota asimmetria informativa presente in questi servizi. Ma bisogna farlo senza intaccare la funzione universale del SSN pubblico nel garantire il diritto alla salute e alle cure”.
quotidiano sanita – 7 giugno 2012