II caso. Il costo della proliferazione dei centri di formazione delle varie branche dello Stato e degli enti locali
Mentre l’istruzione subisce i tagli più feroci dal dopoguerra, le uniche scuole statali risparmiate dalla cura di cavallo sono quelle per i dipendenti pubblici. La prova? I cinque principali istituti di formazione dell’amministrazione costeranno il prossimo anno 51 milioni 62o mila euro, quasi il 13% in più rispetto ai 45 milioni 687 mila euro stanziati quest’anno. Stima, per giunta, probabilmente ottimistica. E ci potrebbe anche stare: inutile negare che nella burocrazia abbiamo un bisogno disperato di qualità. Se non fosse per l’assoluta irrazionalità di un sistema che a rigor di logica dovrebbe essere fra i primi a finire nel mirino della spending review del ministro Piero Giarda. Questo, sia chiaro, pur volendo prescindere dai risultati formativi, che purtroppo non hanno niente a che vedere con quelli di altre esperienze europee, prima fra tutte la celebre Ena francese. L’omologo italiano di quella prestigiosa istituzione sarebbe la Scuola superiore della pubblica amministrazione: 13 milioni e 15 mila euro di costo nel 2o13, contro 12 milioni 517 mila quest’anno. Ben distinta da quella, c’è la Scuola superiore dell’economia e delle finanze, ex Ezio Vanoni: 16 milioni 324 mila, a fronte di 15 milioni 751 mila nel 2012. Quindi, separata da entrambe, la scuola superiore dell’amministrazione locale: 11 milioni 649 mila euro annui, stanziamento identico da qui al 2014. Abbiamo poi l’istituto diplomatico Mario Toscano, per istruire le feluche: 633 mila euro. E la scuola superiore dell’amministrazione dell’Interno, per i prefetti: 4 milioni 63 mila euro, il 73,5% in più sul 2012 e senza contare la spesa per il personale. Non è finita qui. Perché ci sono anche le numerose scuole della Guardia di Finanza, della Polizia, dei Carabinieri… Per non parlare della scuola di formazione e perfezionamento dei personale civile della Difesa. Come mai non si sia finora riusciti a mettere ordine fra tutte queste repubbliche indipendenti, è presto detto. Innanzitutto per un problema di cultura dell’amministrazione. Senza considerare, e questa è la ragione più seria, che più la formazione pubblica è frammentata, più fitto è il sottobosco.
Eppure qualche tentativo per dare un senso alla formazione dei funzionari pubblici era stato fatto. Durante la gestione di Valeria Termini (attuale componente dell’autorità per l’Energia e tuttora presidente dell’associazio-ne mondiale delle scuole di governo) la Scuola superiore aveva aperto alle selezioni pubbliche per reclutare docenti. Poi, nel 2oo8, il ministro Renato Brunetta ha deciso di sostituirla con l’economista Giovanni Tifa, suo collaboratore alla Fondazione Free. Sensazionale novità apportata dal cambio di timoniere, un accordo con la Bocconi per la fornitura di corsi a pagamento. Di recente anche l’idea di razionalizzare tutte queste scuole con la legge delega sul pubblico impiego si è infranta contro le barriere erette dalla burocrazia interna del ministero dell’Economia. La balcanizzazione della formazione dei dirigenti e dei funzionari statali non poteva non avere ripercussioni in periferia. Ogni Regione si è fatta la propria scuola. E gli istituti di formazione nati da una quindicina d’anni a questa parte sono ormai un pulviscolo incontrollato. La Regione Lazio ha una struttura che si chiama Map, Agenzia per lo sviluppo delle amministrazioni pubbliche che ha un consiglio di tre persone, fra cui l’addetta stampa dell’assessore regionale all’Istruzione, Micaela Farina, e l’avvocato Maurizio Oliva, già candidato per il centrosinistra alla presidenza del decimo municipio di Roma. La Regione siciliana ha invece il Cerisdi, di cui risulta presidente l’attuale sottosegretario alla Salute Adelfio Elio Cardinale, incidentalmente consorte di Annamaria Palma Guarnier, direttrice del gabinetto del presidente del Senato Renato Schifani. La Lombardia di Roberto Formigoni si è dotata di un Istituto superiore per la Formazione a cui fanno capo addirittura sette scuole diverse, dall’Accademia per ufficiali e sottufficiali della polizia locale alla Scuola superiore di Alta amministrazione. Ma una scuola di Amministrazione pubblica c’è anche in Umbria: la presiede la governatrice della Regione Catiuscia Marini e la amministra Alberto Naticchioni, per dieci anni sindaco prima del Comune di Preci, quindi di quello di Norcia. In Emilia Romagna esiste il Centro studio e lavoro La Cremeria, fondato dal Comune di Cavriago, e al quale partecipano altri cinque municipi. Che si va ad aggiungere all’Istituto per la formazione e la direzione nella pubblica amministrazione di Bologna. La Toscana possiede invece una «Scuola di Governo» e pure nelle Marche c’è una scuola di formazione del personale regionale. E si può non ricordare l’Agenzia per lo sviluppo delle risorse amministrative e organizzative della Basilicata, intitolata al meridionalista Francesco Saverio Nitti?
Sergio Rizzo – Corriere della Sera – 29 maggio 2012