François Tomei, direttore di Assocarni ha inviato al fattoalimentare.it un contributo inerente l’articolo sulla carne di vacca utilizzata da McDonald’s. Ma per Roberto La Pira il messaggio di zio Mac resta ingannevole
Gent.mo direttore,
con riferimento a quanto da Lei scritto su Ilfattoalimentare.it relativamente alla qualità della carne utilizzata nella produzione di hamburger surgelati, riteniamo utile fornirle le seguenti precisazioni:
– In Italia, così come in tutta Europa, una parte importante della carne bovina immessa sul mercato deriva da razze bovine specializzate nella produzione di latte. Tali bovini costituiscono un importante patrimonio della zootecnia italiana le cui produzioni (di latte durante l’intera carriera produttiva e di carne una volta giunti alla fine della produzione lattifera) vengono valorizzate al meglio da parte dell’industria di trasformazione per consentire la remunerazione degli oltre 100.000 allevatori presenti sul territorio italiano.
– Per quanto riguarda la differenza di costi tra le carcasse provenienti dalle differenti tipologie di bovini, il rapporto tra il valore delle carcasse dei bovini da latte e dei bovini da carne nell’ultimo mese di aprile è stato di 1 a 1,24. In pratica le razze da carne costano il 24% in più rispetto ai bovini da latte (fonte commissione UE – Media UE-27 – categorie O3 / R3). Non appare pertanto corrispondente alla reale situazione di mercato quanto affermato nell’articolo secondo cui “la carne di manzo costa da due a quattro volte di più di quella di mucca”.
– Gli hamburger si producono utilizzando prevalentemente muscoli provenienti dal quarto anteriore, cioè dal 50% in peso dell’intera carcassa. Il restante 50%, cioè i tagli del posteriore, qualunque sia la tipologia di animale da cui provengono (da latte o da carne) vengono commercializzati regolarmente nei diversi canali commerciali (grande distribuzione o normal trade) o consumati giornalmente in migliaia di ristoranti (canale del catering). Filetti, costate, carpacci, fettine provengono pertanto regolarmente anche dai quarti del posteriore dei bovini da latte.
– Il fatto di utilizzare i muscoli del quarto anteriore per i prodotti macinati e i quarti posteriori per produrre fettine è la diretta conseguenza della conformazione naturale dei bovini. Pur non esistendo alcuna differenza significativa in termini di valore nutrizionale del prodotto, la particolare trama muscolare dei tagli dell’anteriore necessitano di tempi di cottura più lunghi (si pensi alle tradizionali ricette di tali tagli quali brasati, arrosti, spezzatini, bolliti, ragù, etc.) rispetto a quanto avviene per i muscoli del posteriore, le cui fettine vengono cotte in tempi più brevi. Inoltre la forma della maggior parte dei muscoli provenienti dall’anteriore li rende meno adatti alla preparazione delle classiche fettine. Ciò non avviene solo per i muscoli provenienti dai bovini da latte; anche le razze da carne seguono assolutamente le stesse logiche. In pratica, il quarto posteriore viene prevalentemente affettato mentre il quarto anteriore si macina, manzi o vacche che siano.
Sulla base degli elementi sopraesposti non può essere condiviso dalla scrivente associazione che gli hamburger vengono prodotti con carni di “qualità mediocre”. Ciò è ancora meno vero se con tale qualità vuole intendersi quella derivante dal trattamento e dalle modalità di allevamento di tali animali. I bovini da latte sono quelli che ogni giorno alimentano l’industria lattiero casearia italiana. Una “qualità” mediocre nell’alimentazione e nella cura in allevamento di questi animali sarebbero deleteri per tutti quei prodotti riconosciuti a livello mondiale come eccellenze italiane. Tanto meno differenze potrebbero avere a che fare con gli standard igienico sanitari che i veterinari pubblici italiani assicurano e verificano su qualsiasi tipologia di bovino senza ovviamente alcuna distinzione.
Avendo avuto modo già in passato di sperimentare il livello di approfondimento e di professionalità de Ilfattoalimentare.it su tali argomenti, siamo certi che vorrà tener conto delle nostre precisazioni. A disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento, distinti saluti.
François Tomei
Ecco la nostra risposta.
Gentile Fracois Tomei,
la ringrazio e concordo su quasi tutti i punti che riguardano la valorizzazione della vacca e il corretto impiego come carne per hamburger. Dissento sul prezzo, secondo i dati Ismea la vacca costa la metà del manzo e comunque nei supermercati e in macelleria questa carne non si usa (le due principali catene di supermercati italiane da me interpellate non la usano). Lei sa che la carne di vacca è destinata solo all’industria che prepara hamburger e ripieni.
A riprova di ciò vorrei ricordarle che nessuno la indica tra gli ingredienti, mentre al contrario sulle etichette si trovano indicazioni sulla scottona, sul manzo irlandese, sul vitellone piemontese… Anche nei menu dei ristoranti non si compare. Se McDonad’s, come lascia intendere nella pubblicità, usa solo ingredienti di alta qualità come il Parmigiano Reggiano o la Bresaola della Valtellina, perché non scrive che l’hamburger è di vacca italiana?
L’attacco a McDonald’s non riguarda quindi le mucche, ma il messaggio che veicola quando sbandiera l’origine italiana della carne e lascia intuire l’alta qualità della materia prima.
Lei fa una difesa giusta sull’impiego dei quarti anteriori ma non coglie l’elemento subdolo della comunicazione di McDonald’s che evidenzia solo gli ingredienti certificati da Qualivita, dimenticando gli altri. Difendere la mucche e mangiare gli hamburger fatti con questa carne va benissimo, ma bisogna dirlo chiaramente al consumatore (anche se la legge non lo obbliga).
Roberto La Pira
da Ilfattoalimentare.it – 26 maggio 2012