Frasi irriguardose rivolte dalla dirigente a una dipendente, reazione online del marito di quest’ultima, con commenti sferzanti postati su un blog e riferiti proprio alla dirigente.
Valgono, quei commenti, anche considerando il contesto, il reato di diffamazione? Molto probabilmente sì, ma ciò che deve prevalere è – chiarisce la Cassazione, con la sentenza 9907/12 – la considerazione della provocazione, che vale anche una terza persona. Il casoIn azienda la dirigente tratta in malo modo una dipendente; il marito di quest’ultima, come risposta, pubblica online, su un blog, alcuni commenti poco edificanti riferiti alla dirigente. Lo si può considerare un ‘botta e risposta’ vero e proprio, anche se con tempi lunghi e lenti… Per la giustizia, però, ciò che conta è la sostanza, ovvero i contenuti. Per questo, l’uomo finisce sul banco degli imputati, accusato di ingiuria e di diffamazione nei confronti della dirigente, ricevendo, alla fine, una condanna. A emetterla il Giudice di pace, che, però, viene smentito dal Tribunale: in quest’ultimo contesto, difatti, l’uomo si salva grazie alla rilevanza data dal giudice alla «provocazione», ovvero allo «stato di ira» provocato in lui dalle offese nei confronti della moglie. A contestare la pronuncia assolutoria è la dirigente, che, costituitasi parte civile, chiede in Cassazione, tramite il proprio legale, una rivisitazione piena della vicenda, soprattutto alla luce delle dichiarazioni di due testi.
Ma, invece, anche in terzo grado, la provocazione da lei compiuta – ossia l’atteggiamento verbale tenuto nei confronti della dipendente – risulta essere considerata di fondamentale importanza. Su questo punto, difatti, i giudici di Cassazione – che rigettano il ricorso – mostrano di condividere le valutazione compiute in Tribunale, ricordando che la provocazione si concretizza anche quando essa si ‘limita’ ad essere «lesiva di regole comunemente accettate nella civile convivenza». Ottica, questa, che si attaglia alla vicenda in esame, tenendo ben presente non solo le espressioni irriguardose della dirigente verso la dipendente, ma anche il fatto che quest’ultima era stata poi «licenziata con modalità ritenute illegittime».
Il quadro è chiaro, quindi. Ed è reso di ancora più semplice lettura da un riferimento alla giurisprudenza, in cui si chiarisce che la provocazione può essere tenuta in considerazione «anche se diretta verso persona diversa da colui che reagisce», a maggior ragione alla luce – come in questo caso – di un rapporto coniugale.
La Stampa – 9 maggio 2012