Lettera del ministro al Corriere della Sera: non intendiamo procedere a una riforma epocale e tantomeno a una controriforma. Piuttosto vorremmo proseguire un percorso già iniziato.
Sabino Cassese ricorda che la forza delle istituzioni inglesi è assicurare i piccoli cambiamenti necessari nel solco della continuità: questo è il riformismo. Non intendiamo procedere a una riforma epocale e tantomeno a una controriforma. Piuttosto vorremmo proseguire un percorso già iniziato.
Alcune coordinate di contesto. Il mercato del lavoro pubblico ha una peculiarita’ di base: lo Stato non e’ solo regolatore di un rapporto tra privati, ma è esso stesso datore di lavoro, e quindi ha interessi propri e una posizione che e’ parzialmente differente da quella dell’imprenditore. La missione del pubblico e’ garantire prestazioni pubbliche ai cittadini, agendo con imparzialita’ e assicurando l’uguaglianza tra gli stessi, e offrire servizi al pubblico tempestivi e di qualita’, a costi il piu’ possibile contenuti.
Il lavoro pubblico concorre a perseguire queste finalita’: semplificazioni e liberalizzazioni per creare condizioni di contesto per lo sviluppo di iniziative private e il miglior funzionamento della burocrazia; prevenzione dell’onnipresente corruzione secondo modelli di risk management; semplificazione e riordino dei livelli di governo per delineare competenze e responsabilita’ certe; revisione dei processi di spesa per eliminare sprechi ma anche per migliorare i servizi. E, naturalmente, politiche sul lavoro pubblico. Per limitarmi a temi di cui mi sto occupando, non da solo.
Quando si discute di lavoro pubblico ci si mette nell’ottica di chi abbia piu’ o meno privilegi: a chi identifica nel dipendente pubblico il simbolo della nullafacenza, c’e’ chi replica che i dipendenti pubblici, per esempio, non hanno la disponibilita’ del TFR e quindi di un valido sistema di previdenza complementare o che solo gli stipendi dei pubblici sono assoggettati a un doppio contributo di solidarieta’ che, a parita’ di condizioni, non grava sugli stipendi dei privati. E lo stesso andamento delle retribuzioni, negli ultimi due anni, ha registrato un’inversione di tendenza, con un arretramento rispetto al privato. Per converso, quando descrissi la normativa sui licenziamenti per ragioni organizzative nel pubblico fui attaccato dai sindacati. Non mi appassiono al dibattito.
La delega a cui pensiamo, pur mirata, guarda a un contesto piu’ ampio. Per schematizzare: 1) Misure sulla dirigenza, per avere maggiore trasparenza e qualita’ nella scelta, e maggiore autonomia dalla politica, anche ai livelli piu’ alti; al tempo stesso, responsabilita’ definita del dirigente quanto alla performance della struttura che da lui dipende: quanto meglio va la sua struttura tanto piu’ vengono premiati dirigenti e dipendenti; questo e’ il significato della ‘prevalenza’ della performance organizzativa, perche’ al cittadino interessa il servizio di qualita’ non in che misura ciascun dipendente vi abbia contribuito; 2) una riforma del sistema di reclutamento e di formazione di dirigenti e funzionari che sappia coniugare il meglio del sistema francese (fondato sulla centralita’ dell’ENA, che sforna ottimi dirigenti) e del modello Oxbridge, che si avvale, nella formazione ‘continua’ dei civil servants, di una rete di eccellenza universitaria; 3) mercato del lavoro, nella logica dell’adeguamento alla riforma del lavoro privato, ma con due capisaldi (che certo non piacciono ai sindacati): 1) al pubblico si accede solo per concorso e non con altri meccanismi di ‘flessibilita’ in entrata’; 2) anche l’abuso del contratto a termine non puo’ portare alla stabilizzazione del lavoratore pubblico. Il tutto ci e’ chiesto dalla Costituzione e dall’interesse del datore di lavoro pubblico : che in questo caso giustifica la differenza (in peggio) del lavoratore pubblico rispetto a quello privato.
Due notazioni finali sugli elementi a tasso ‘controriformista’: premialita’ e licenziamenti disciplinari. La controriforma di un sistema che si articola in decine di articoli potra’ riguardare due o tre disposizioni della legge Brunetta (cui, sul piano tecnico, ho contribuito in prima persona): a fronte di una estromissione totale dei sindacati da ogni processo organizzativo, si potranno prevedere che alcuni temi di rilevanza ‘collettiva’, come nel privato, siano esaminati congiuntamente da datori di lavoro e lavoratori, fermo restando che alla fine ciascuno assumera’ le decisioni che gli competono; il sistema di premialita’ non verra’ smantellato, ma, da una parte, verra’ privilegiato l’aspetto della performance organizzativa nel senso, gia’ detto, di misurare il buon risultato dell’unita’ organizzativa e, nell’ambito di questa, valutare il dipendente e, soprattutto, il dirigente; dall’altra, si cerchera’ di rendere operativo, introducendo elementi di flessibilita’, un principio buono (non puoi pagare tutti ugualmente) che, per la sua rigidita’ (e la mancanza di fondi), da due anni non decolla.
Il licenziamento disciplinare. Partiamo dalla prima differenza che gia’ c’e’ tra pubblico e privato: per il privato le cause di licenziamento disciplinare sono nei contratti; per i pubblici, a queste si aggiungono ipotesi di licenziamento disciplinare per legge. E sono molte. Questo perche’, per Costituzione, i pubblici impiegati hanno piu’ doveri dei dipendenti privati, perche’ servono la ‘Nazione’ e non un singolo imprenditore. Al tempo stesso, pero’, mentre il datore di lavoro privato ha il diritto di fare le sue valutazioni e anche di preferire di pagare di tasca propria un lavoratore licenziato anche ingiustamente anzi che riassumerlo, questo non vale e non puo’ valere per lo Stato. Quando fu privatizzata la dirigenza pubblica, Cassazione e Corte costituzionale decisero che ai dirigenti pubblici non si potesse applicare la disciplina della ‘libera licenziabilita’ previo indennizzo’ dei dirigenti privati, perche’ questo avrebbe esposto la dirigenza all’arbitrio del politico di turno (e le casse pubbliche a qualche problema). E nel 2008 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima una legge regionale che prevedeva un’alternativa tra reintegro e indennizzo, ritenendo che cio’ costituisse una forma onerosa di spoils systeme per giunta a carico del contribuente. E’ la logica, prima ancora che la Costituzione, a sconsigliare di trattare in modo identico situazioni oggettivamente diverse; ma, sul piano istituzionale, vorrei evitare di contribuire a restituire l’amministrazione pubblica alla politica, invertendo quel processo di separazione tra gestione e indirizzo politico-amministrativo avviato da Cassese e proseguito da Bassanini, Frattini e Brunetta.
Di tutto cio’ si avra’ tempo di discutere, possibilmente in maniera argomentata e pragmatica e non limitatamente ai temi mediaticamente appealing. Tutti potranno esporre visioni legittimamente di parte. Compito del Governo, ritengo, e’ proporre una sintesi ‘di sistema’, che non puo’ accontentare tutti, al confronto e alla decisione finale del Parlamento.
Filippo Patroni Griffi
Ministro della Pubblica Amministrazione
7 maggio 2012